“Altri pittori dipingono un ponte, una casa, una barca… io voglio dipingere l’aria che circonda il ponte, la casa, la barca, la bellezza della luce in cui esistono”. In queste parole di Claude-Oscar Monet (1840-1926) è racchiusa tutta la sua filosofia artistica, il suo peculiare stile, e nel medesimo tempo è definito in modo sintetico l’impressionismo, la corrente rivoluzionaria i cui aderenti cercavano di catturare sulla tela i mutamenti cromatici e gli effetti della luce sull’ambiente che li circondava: per questo dipingevano in prevalenza en plein air.
Lo stesso nome del gruppo ha origine da una celebre opera di Monet del 1872, l’olio su tela Impression, soleil levant, che raffigura un’alba impalpabile nel porto di Le Havre, nell’Alta Normandia. Al grande maestro francese è dedicata la mostra Monet en plein lumière, aperta nella prestigiosa sede del Grimaldi Forum di Monte Carlo, nel Principato di Monaco, fino al prossimo 3 settembre. Sono offerte alla vista del pubblico un centinaio di opere, provenienti da musei e raccolte private di tutto il mondo, molte delle quali mai esposte o riunite insieme, che “raccontano” l’intero itinerario artistico di Monet, in uno spazio ampio e ben organizzato. “È una festa per gli occhi”, ha affermato Marianne Mathieu, curatrice della mostra ed ex direttrice del Museo Marmottan Monet di Parigi.
La mostra monegasca si divide in tre parti. “La prima”, spiega la Mathieu, “sul Monet degli inizi, più tipicamente impressionista, che dipinge la luce”. Nella seconda fase, quando comincia a rappresentare le ninfee e va oltre l’impressionismo, “è il pittore dello spazio”. Alla fine, con la scelta di una pittura di dimensioni maggiori e colpito dagli orrori del primo conflitto mondiale, diventa “il pittore della pace”. Il nucleo più interessante e coinvolgente dell’esposizione al Grimaldi Forum è costituito da più di venti dipinti realizzati in Costa Azzurra e sulla Riviera ligure in tre diversi soggiorni, nel 1883, 1884 e 1888, che segnarono una svolta decisiva, facendo scoprire al maestro la meraviglia di luoghi mai conosciuti: i paesaggi e i colori del Sud, la vegetazione varia e rigogliosa, che lo sorprendono e incantano. Occasione della mostra sono proprio i 140 anni dal suo primo viaggio a Monte Carlo, in compagnia di Pierre-Auguste Renoir. Possiamo così immergerci nella magia di “indimenticabili vedute”, sottolinea la curatrice, a cominciare “da Antibes, Cap Martin e Monaco”. In anni lontani dall’attuale selvaggia edificazione, quando la costa mediterranea appariva in tutto il suo splendore, Monet vedeva per esempio Antibes come “una piccola città fortificata dorata dal sole, che si staglia contro bellissime montagne blu e rosa e le Alpi perennemente coperte di neve”.
Nato a Parigi, nel brumoso nord della Francia, Monet ritrova in Riviera la luce e i colori dell’Algeria dove, ventenne, aveva svolto il servizio militare (“pensavo solo a dipingere, tanto mi inebriava quello stupendo Paese”). Ora, un ventennio dopo, la sua carriera artistica è ben avviata, ma è afflitto dai debiti e la prima moglie Camille – una modella che aveva posato, oltre che per lui, anche per Renoir e Manet, e che gli diede due figli, Jean e Michel – è gravemente malata: morirà nel 1879. Monet sprofonda nella depressione, ma lo aiuterà a venirne fuori proprio il tuffarsi nell’atmosfera calda e luminosa del Sud, che lo folgora, restituendogli serenità e fiducia.
La retrospettiva di Monte Carlo documenta questa full immersion nel tratto di costa mediterranea al confine tra Francia e Italia, che portò il pittore anche a Dolceacqua (“un villaggio straordinariamente pittoresco, con un ponte che è un gioiello di leggerezza”) e a Bordighera, dove sostò a lungo, per 79 giorni, dal 18 gennaio al 3 aprile 1884, alloggiato alla Pension Anglaise, da cui partiva ogni mattina con i suoi pennelli e cavalletti. Scrive all’amico e mercante d’arte parigino Paul Durand-Ruel: “La Riviera ligure è rischiarata da un sole che modella le forme e accarezza la natura […] Acqua, fiori e poesia si confondono in un’armonia musicale di colori che i miei occhi non hanno mai incontrato”.
Al Grimaldi Forum si possono apprezzare capolavori come Il Castello di Dolceacqua e La Valle della Nervia e Dolceacqua (mai esposto). Più numerose le tele dedicate a Bordighera, tra cui spiccano Strada romana a Bordighera, che ha sullo sfondo le Alpi Marittime, e Veduta di Bordighera, che ha invece un azzurrissimo mare in lontananza. Da notare in queste opere, come in molte altre dell’artista, la perfetta e armonica integrazione tra elementi naturali (paesaggi, giardini, alberi e fiori) ed elementi architettonici (case, palazzi, chiese), tra l’irregolarità e la varietà anche cromatica della natura e le forme regolari delle costruzioni, un segnale che indica la presenza dell’uomo in un contesto privo di figure umane. In questo scorcio estremo di Liguria, a pochi chilometri dal confine transalpino, Monet dipinge sia edifici d’epoca che le nuove ville costruite da ricchi francesi. Bordighera era stato per secoli un territorio povero e marginale. L’apertura della tratte ferroviarie Genova-Ventimiglia (1871) e Marsiglia-Ventimiglia (1872) ne fanno una località privilegiata, scelta dalla buona società europea per svernare e ritrovare una natura ancora intatta. Qui si affolla un turismo cosmopolita, soprattutto inglesi e tedeschi, ma è presente anche l’aristocrazia italiana, ai massimi livelli: a partire dal 1879 vi passa gran parte dell’anno la stessa Regina Margherita.
Se ai primi del Novecento questi luoghi si confermeranno come meta ambita di un turismo internazionale d’élite, lo si deve anche al pennello di Claude Monet. Prima di lasciare la Liguria per tornare in Francia, il maestro scrive un’altra lettera al gallerista Durand-Ruel, in cui ammette: “Circondato da questa luce abbagliante, trovo la mia tavolozza ben modesta […]. Forse, una volta rientrato a casa, mi ricorderà un po’ ciò che ho visto”.
Porterà con sé per sempre il mistero della bellezza luminosa della natura scoperta in Riviera, quell’attimo fuggente rincorso per tutta la sua esistenza terrena.
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