È la musica del vento a muovere segretamente questa tela di Claude Monet, Les coquelicots (1873), fino ad intriderla di una luce calda ed opaca che accende la vellutata distesa di erba cangiante e il morbido declivio spruzzato di papaveri rossi, la cui dolcezza rompe l’uniformità piana dell’orizzonte campestre.



L’atmosfera che domina il dipinto ci avvolge col fascino di una discreta suggestione e ci introduce in un mondo lontano, eppure familiare, dove tutto corrisponde finalmente all’originale moto del cuore, all’ignoto ritmo di un respiro che misteriosamente attinge la sua forza al magico sussurro della brezza pomeridiana e con energia vibra dei ventosi profumi che si impigliano tra le pieghe delle sete fruscianti o si insinuano nella trama delle canape grezze e dei candidi lini, alimentando nostalgie sopite di tempi che neppure la memoria è riuscita, con la polvere degli anni, a cancellare.

Incedono, con naturale scioltezza, le nobili dame immerse e quasi avviluppate da questa fantasiosa festa di luci. Anche i costumi, sia pure appena abbozzati, suggeriscono quell’ostentazione tipicamente femminile che sa offrirsi con civettuola noncuranza sotto la tesa obliqua di un ricercato cappellino tutto nastri e trine o nell’impugnare, con studiata leggiadria, un vezzoso parasole.

Si ripetono, a breve distanza, le due figure quasi fossero ombra l’una dell’altra, affiancate entrambe dai graziosi fanciulli che sembrano naufragare anch’essi nel penetrante infittirsi dell’erba polverosa e avvolgente. Gioca il bambino in primo piano, tutto assorbito dal fascino di un fiore appena raccolto, mentre insegue magiche fantasie di sogni lontani.

Prosegue così la danza modulata sulle note di una struggente melodia senza nome. Anche il cielo ne partecipa con l’inseguirsi incalzante delle nubi che si addensano in mobili forme nella volta soprastante.

Pioverà, forse, su questa lussureggiante campagna assolata o a vincere sarà piuttosto la forza del vento che, sfilacciando le nuvole grigio-azzurre, luciderà l’aria sudata gravida di un’opacità stancamente luminosa.

Tutto freme pur rimanendo sospeso in una tacita attesa.

All’orizzonte, la villa, silenziosa e solenne, si affaccia dietro l’immobile processione dei cupi alberi secolari, unico baluardo di riposante frescura contro i giallastri bagliori dei campi aperti.