Per Roberto Longhi è stato “un precursore di Caravaggio, tra i più grandi ritrattisti di ogni epoca”, mentre per Jacob Burckhardt i ritratti di Moroni erano espressione di “una esperienza di vita immensa”. Adolfo Venturi lo paragonava – per i suoi set, le inquadrature e la cura nei dettagli – a un fotografo ante litteram, al punto che era in grado di fermare sulla tela situazioni di “sorprendente immediatezza”, come ha sottolineato Mina Gregori. Insomma, “uno sguardo senza filtri sulla realtà”: così sostiene Arturo Galansino, curatore con Simone Facchinetti della mostra Giovanni Battista Moroni (1521-1580). Il ritratto del suo tempo, aperta alle Gallerie d’Italia di Milano fino al Lunedì di Pasqua, la più ampia e importante rassegna mai dedicata al pittore nato e cresciuto ad Albino, in bassa Val Seriana. Con prestiti illustri dai più prestigiosi musei italiani e del mondo, ma anche da Bergamo, da Brescia e dalle chiese del territorio. Dalla sua biografia emerge che non andò mai a Firenze o a Roma, e forse neppure a Venezia, ma fu a Trento durante il Concilio, e questo lo aiutò a crescere nel suo cammino personale, immerso in un clima internazionale e confrontandosi con i nuovi criteri della Riforma cattolica riguardo all’arte.



Sono 70 le opere di Moroni esposte a Milano, accanto a dipinti del Moretto, il suo maestro, ma anche di Lotto, Tiziano, Tintoretto, il Veronese, in nove sezioni ben ordinate che ci presentano – in una sorta di “racconto figurato” – il contesto culturale e sociale dell’epoca. Accostato ad alcuni tra i grandi del Rinascimento, l’artista bergamasco non sfigura affatto. La scelta del ritratto, che costituisce buona parte della sua produzione, ne esprime la modernità. Dipinge infatti in modo innovativo, vivace, con bonaria ironia. Il personaggio raffigurato non è quasi mai frontale, ma “in azione”, e sembra parlare con l’osservatore e “comunicare” pure con le mani, le braccia, le gambe.



L’effetto realistico è sbalorditivo: di arditi cavalieri, capitani d’arme, giovin signori, rampolli di aristocratiche famiglie, ecclesiastici e gentildonne alla moda, è mostrato al vero ogni minimo particolare: la barba di due giorni e le rughe, persino un bitorzolo sulla fronte!, degli uomini in posa; le labbra, i gioielli e i pizzi delle dame; i raffinati capi di abbigliamento di entrambi. Il pittore di Albino osservava e trasferiva sulla tela la realtà per ciò che è, arricchendola grazie a un’acuta penetrazione psicologica che faceva apparire i suoi quadri ancor più credibili.

Di carattere schivo e riservato, Moroni era un artista di talento, sensibile, apprezzato dai committenti, ma dopo la morte è stato relegato a lungo in un ruolo marginale. La riscoperta è recente, novecentesca, proprio per la capacità “fotografica” che aveva di raffigurare i suoi modelli al naturale, senza idealizzarli, senza celebrarne lo status ma restituendoci la loro umanità. Tuttavia nella riscoperta è stata forse minimizzata, considerandola secondaria, una quota non trascurabile della sua opera: quella di soggetto religioso, che appartiene alla fase di formazione nella bottega del Moretto, ma di fatto accompagna tutto il percorso creativo del pittore. È riduttivo non riconoscere il valore delle pale d’altare e dei dipinti di carattere sacro e devozionale, magari meno seducenti ma dotati della stessa felicità inventiva dei ritratti, con cui non c’è contrapposizione ma continuità. Come non ammirare, ad esempio, l’Ultima cena del 1566-1569, dalla chiesa di Santa Maria Assunta e San Giacomo Maggiore Apostolo a Romano di Lombardia: una tela in verticale (scelta inconsueta per il soggetto rappresentato) con gli apostoli, Cristo e il donatore, in piedi dietro il Salvatore, che si offrono allo sguardo come una serie di ritratti di grande intensità.



Altri capolavori sono la Madonna con il Bambino in gloria e i santi Ambrogio, Gregorio, Gerolamo, Agostino e Giovanni evangelista (1551 ca.), dalla basilica di Santa Maria Maggiore a Trento, e il Crocifisso con i santi Bernardino da Siena e Antonio di Padova (1574-1575), dalla chiesa di San Giuliano nella natìa Albino. La presenza di molte pale d’altare da lui realizzate in parrocchie, spesso piccole, sparpagliate nella provincia bergamasca, è stato ritenuto un ostacolo alla diffusione della sua fama e dei suoi meriti artistici. Ma occorre precisare che Moroni non solo era figlio di un secolo in cui la fede cattolica informava ancora in modo capillare la vita quotidiana: era pure profondamente devoto. Il titolo della mostra, Il ritratto del suo tempo, si riferisce sì alla centralità del tema del ritratto, ma più compiutamente ci offre un “ritratto”, un abbraccio aperto a 360 gradi sulla società e sul mondo in cui viveva l’artista: i palazzi signorili come le canoniche sperdute, il lusso e gli orpelli ma pure la semplicità del popolo che viveva nei paesi e verso cui il Nostro aveva una particolare attenzione. Bene hanno fatto quindi i curatori a dedicare più di un terzo dello spazio espositivo e due intere sezioni ad opere di carattere religioso.

Così ci stupiscono tele che “raccontano” una delicata Madonna con il Bambino dove Maria allatta teneramente il figlio, una Trinità con un Dio Padre che – come ha scritto Federico Zeri – è forse “la più alta, la più penetrante raffigurazione che l’arte abbia mai fornito dell’inconoscibile mistero della Prima Persona”, e una Risurrezione di Cristo con un taglio sperimentale nuovo: un “fermo immagine” in cui alcuni dei soldati presenti sono appunto parzialmente “tagliati” dal limite del quadro, sorpresi dall’evento miracoloso che hanno di fronte.

La sezione più inattesa è la sesta, intitolata “Il ritratto devoto e l’orazione mentale”. Già presente nella tradizione della Chiesa, l’orazione mentale viene rilanciata e codificata da sant’Ignazio di Loyola a metà del XVI secolo nei suoi Esercizi spirituali: è una preghiera silenziosa, senza aprire bocca, in cui il fedele “vede” con l’occhio della mente, immaginando “un luogo fisico in cui si ritrovi ciò che voglio contemplare”. Ecco quindi preti o comuni credenti raffigurati in ginocchio e in assorta contemplazione davanti a personaggi e scene sacre come il Battesimo di Cristo o il Crocifisso con i santi Giovanni Battista e Sebastiano. “Presenze” evocate dal pensiero, ma in realtà concrete e vive per chi ha lo sguardo della fede.

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