In anticipo di quasi un secolo, anche Picasso sembra voler festeggiare lo spegnersi lento, ma progressivo dell’attuale pandemia. Dopo i divieti rigidi e le limitazioni vincolanti che ci hanno visti costretti ad una forzata prigionia tra le mura di casa nostra, ci entusiasma e ci travolge la roteante esplosione dei colori freddi e insieme luminosi che, incontenibili, dilagano su questa tela. Un luna park, una giostra, una girandola, forse un caleidoscopio: ecco che cosa suggeriscono le strane geometrie dentro cui si rispecchiano e come per incanto si moltiplicano luci ed ombre del Cafè à Royan.



Una spirale cromatica parte, vorticosa, dal centro del dipinto e si proietta in successive ondate circolari come a riproporre, per sovrapposti piani di colore, l’interno oscuro del piccolo ritrovo. Si contagia, l’esterno, dell’equivoca vivacità che regna nel locale: nei tavoli da gioco, negli angoli più riservati che sussurrano, angusti, segreti e smozzicati dialoghi.



Prorompe così, con una impennata violenta, la realtà sovrastante che scheggia di lamine lucenti ogni angolo dell’opera. Il caffè diventa allora una sorta di vertiginoso perno da cui si sprigiona un singolare arcobaleno di forme lussureggianti che hanno il potere di modificare il mondo circostante: la grande casa rosa si appiattisce contro la tela, la violacea muraglia di un mare senza tempo, si erge minacciosa sopra l’ultimo orizzonte, mentre gli spigoli puntuti di alberi vetrosi assediano il litorale cancellandone di schianto ogni poesia. La fredda e intermittente luce del faro proietta il proprio cono d’ombra in direzione verticale “puntando” spietatamente lo scheletro di una imbarcazione fantasma.



Ma esiste veramente e dove, questo caffè? Forse, chissà, proprio a Royan… anche se noi preferiamo immaginarlo mentre vive e “respira” nella enigmatica fantasia di Picasso, come pure in quella di tanti fra noi che nell’inseguire il sogno di una libertà ritrovata, si sorprendono poi annoiati e delusi da quei brandelli di realtà che il cuore, infallibile sempre, tristemente riconosce come amare “soddisfazioni a buon mercato”.