Nel quinto anno dalla scomparsa dell’artista Pierantonio Verga (1947-2015), l’Archivio Pierantonio Verga, nato nel 2016 per volontà della famiglia che ha avviato un lavoro di ordinamento e di catalogazione delle opere lasciate dal pittore brianzolo, ha donato due lavori risalenti agli anni novanta a due importanti musei milanesi. Come ala è il titolo di un’opera su carta del 1992 che è stata donata al Museo del Novecento, Senza titolo è invece l’opera che è stata consegnata al Museo San Fedele: entrambi i musei avevano già ospitato lavori di Pierantonio Verga che a Milano ha operato anche con interventi preziosi come quello presente nella chiesa di Sant’Anselmo a Baggio.
L’intenzione dell’Archivio Pierantonio Verga è quella di continuare nel percorso di valorizzazione e di storicizzazione di un’esperienza tra le più significative nel panorama artistico dell’ultimo quarto del secolo scorso e del primo scorcio del nuovo millennio.
Non ancora quattordicenne Verga inizia un periodo d’apprendistato a Milano presso lo studio dell’architetto Mario Bacciocchi che successivamente lo indirizza presso lo studio di Lucio Fontana. Nella sua intensa attività, Verga arriverà anche, sotto la direzione di Raffaele De Grada, ad ottenere la titolarità della cattedra di Pittura presso l’Accademia di Belle Arti Aldo Galli di Como nel 1992.
Le sue opere sono presenti in numerose collezioni italiane ed estere, tra cui qui ricordiamo il Museo MA*GA di Gallarate, la Collezione Paolo VI di Concesio, l’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, il Civico Museo Parisi–Valle di Maccagno, l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, il Museo del Novecento e il Museo San Fedele di Milano, come abbiamo già indicato.
Le due opere donate in questi giorni ai musei milanesi bene rappresentano il mondo artistico e umano di Pierantonio Verga che, come dice Pietro Nicoletti, “è un universo lirico lontano dalla contestazione in anni in cui molti suoi coetanei avrebbero aderito senza indugio alla temperie del momento, optando lui per un eremitaggio meditativo che si preparava a entrare in sintonia con certi ‘ritorni’ nelle arti visive che contrassegnano la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta”.
Come annota ancora giustamente il critico in questo suo scritto, per generazione e per spirito, infatti, la ricerca di Pierantonio Verga “va inserita nel novero di quelle indagini che hanno recuperato gli strumenti linguistici della pittura di gesto, che hanno inciso l’impasto di materia denso e a volte sabbioso steso sul supporto, ma che lo hanno fatto servendosene come strumenti, come indicazioni di possibili procedimenti utili all’elaborazione di una determinata immagine, senza che il segno, il graffio, o la traccia immediata fossero il soggetto primo ed esclusivo della pittura stessa. Questo voleva dire trovare un nuovo significato: servirsi dell’Informale, dunque, ma senza i contenuti per cui questo era nato, dal momento che il dramma esistenziale dell’uomo uscito dalla guerra, carico di un impulso da riversare violentemente sulla superficie della tela non poteva appartenergli. Piuttosto, Verga coglieva quella congiuntura di ritorno alla pittura e di riscoperta di radici arcaiche e remote, irrazionali ma lontane nel tempo, laicamente rivolte a una nuova e indistinta spiritualità espressa per via di simboli fluttuanti nel campo pittorico.
Ecco perché queste donazioni sono da salutare con grande interesse: esse consentono di riportare la giusta attenzione su di un’opera che, prima e più di tante altre celebrate rivoluzioni artistiche, come dice Marina De Stasio in un altro importante scritto su Verga, “è l’espressione di una religiosità che nasce nel cuore dell’uomo, che lo libera e lo solleva dalla sua miseria a quella grandezza di cui potrebbe essere capace; una grandezza, però, fatta di cose minime, non certo di gesti roboanti e fragorose esibizioni, fatta di castità, dell’estrema povertà di un gesto che si scrolla di dosso ciò che è vano e ingannevole: il lavoro dell’artista deve avere questa moralità, al tempo stesso severa e gentile. La materia più umile nasconde una bellezza struggente, all’arte tocca esprimere lo splendore dell’umiltà. Attraverso un lungo, paziente lavoro di pittore, passando per un confronto totale con la corposità della materia pittorica, col colore, con le leggi della composizione, si può arrivare a dipingere senza la pittura, a manipolare una materia che è la materia del nulla. La voce della vita nel silenzio dell’universo, la voce del vero nel frastuono della menzogna sono piccola cosa, un bisbiglio colto nell’attimo in cui si spegne, ma sono tutto ciò che conta”.
Questo bisbiglio, anche grazie a iniziative come questa, continua con umiltà e pudore a splendere nell’opera di Verga.
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