Sta avvenendo un inatteso ribaltone sull’asse Milano-Roma. Parto da una semplicissima constatazione: organizzando da ormai sei mesi un appuntamento settimanale online dedicato alle novità più interessanti in campo artistico (I Lunedì di Casa Testori, ogni lunedì alle 21,15), mi sono reso conto che sempre più frequentemente si finiva per parlare di esperienze o mostre di stanza a Roma. Che si trattasse di grandi istituzioni come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma o di piccole realtà innovative come il collettivo di artisti Post-Ex, ogni volta si intercettava un’effervescenza, una vitalità, un’energia capace di scavalcare le contingenze.
L’arte certamente riveste un peso marginale nella vita di una città. Ma l’arte a volte anticipa dinamismi che è interessante esplorare. Per esempio, a Roma si è ribaltato il rapporto centro-borgate. Il centro della città ha pagato un prezzo altissimo per il crollo del turismo, ma è come se in questo modo avesse liberato la città da una zavorra. Oggi i quartieri di periferia e le borgate si sono sganciati da questo cordone ombelicale simbolicamente soffocante e sono diventate fucine di esperienze nuove, facilitate anche da un fattore non secondario: la quantità di spazi a disposizione e i prezzi decisamente abbordabili rispetto ad una città da questo punto di vita inavvicinabile come Milano. Nelle periferie nascono non semplicemente studi d’artisti, ma spazi condivisi, che rappresentano un valore aggiunto enorme, perché nella relazione e nella prossimità con altri un artista cresce, si trova continuamente stimolato.
Come mi spiega l’amico Alberto Montorfano, che fa parte di uno di questi collettivi, Post-Ex a Centocelle, questi spazi condivisi sono come dei laboratori, dove la prima preoccupazione è sul fare prima che sull’esporre.
Così sulla scia dell’esperienza storica, ma ancora molto viva, del Pastificio Cerere a San Lorenzo, ecco che sono sorti Spazio Mensa sulla Salaria, Spazio Y nato in via dei Quintili, Spazio In Situ a Tor Bella Monaca. E poi ecco Ombrelloni Art Space a San Lorenzo, Castroproject a Trastevere, Numero Cromatico sulla Tiburtina, Paesefortuna a Pietralata. Sono tutte realtà nate di recente, che si sono insediate in edifici dismessi e rimasti senza una funzione. Come un domino hanno generato anche nuove modalità di comunicazione, come dimostra l’esperienza di Tracce d’Artista: due giovani storiche dell’arte, Fabiola Ceglie e Maria Monton, documentano attraverso podcast il percorso dei nuovi artisti che popolano questi spazi.
A tutto questo va aggiunto che anche alcune istituzioni stanno mostrando una capacità di ripensare anche il proprio Dna: la Galleria Nazionale d’arte Moderna ha messo in campo un percorso serio e affascinante per ribilanciare la presenza femminile (oggi al 5% delle raccolte). Il Macro (museo comunale) ha innescato una raffica di progetti espositivi aperti a nomi nuovi della scena artistica sotto il titolo di “museo dell’immaginazione preventiva”.
E Milano? Milano al confronto sembra paralizzata, come prigioniera di un troppo alto pensiero su se stessa. È una città che sta a guardare, aspettando che le condizioni si mettano “in sicurezza” (la vicenda del Salone del Mobile, anche se su un altro piano, è emblematica). Le manca quell’agilità che invece permette a Roma di proporre una scena interessante e vivace. Le istituzioni museali sono bloccate. Gli affitti sono troppo cari per permettere quelle dinamiche “collettive” che invece fioriscono nella capitale. Manca anche quella nuova autocoscienza delle periferie che invece sentiamo sulla bocca dei nuovi artisti romani, quando ti dicono, “vieni a trovarci a Centocelle”. Non a Roma ma a Centocelle…
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