Questo, più che un articolo, è un caldissimo invito: non lasciatevi sfuggire la mostra dedicata a Donatello, appena aperta nella doppia sede di Palazzo Strozzi e del Museo del Bargello a Firenze. Il tempo non manca (starà aperta fino al 31 luglio) e bisogna cogliere l’occasione. Personalmente non l’ho ancora vista, ho potuto per ora esplorarla attraverso le pagine di un catalogo davvero ricco: sono state radunate più di una cinquantina di sculture di questo gigante dell’arte italiana.
Ma la sollecitazione a non perdere la mostra sta anche in un’altra ragione. Provo a spiegare. Quando Giorgio Vasari si trovò a scrivere il Proemio delle sue Vite, strumento fondamentale per la conoscenza delle grandi figure che hanno fatto la storia dell’arte italiana, si trovò in una situazione di imbarazzo. Avrebbe voluto collocare Donatello nella sua stagione anagrafica, ma si era accorto che lui in realtà la travalicava. Non stava dentro il suo tempo perché strabordava non solo nel futuro ma anche nel passato.
Nell’introduzione al catalogo, il curatore della mostra Francesco Caglioti ricorre ad un’immagine efficace, anche se insolita nel lessico degli studiosi: “Il ‘terremoto’ Donatello è stato così violento da determinare ripetute scosse di assestamento, e per una fitta serie di generazioni cominciata poco dopo il suo esordio di ventenne (1406)”. E poi spiega: “Egli è stato infatti non semplicemente l’artefice di una svolta epocale al pari di Giotto, di Raffaello o di Caravaggio, ma molto di più, cioè un fenomeno di rottura che ha introdotto nella storia nuovi modi di pensare, di produrre e di vivere l’arte”.
In cosa consistono questi “nuovi modi” a cui fa cenno il curatore? Essenzialmente in un’energia umana del tutto inedita che pervade e invade le opere. Donatello, nel suo porsi fuori da ogni casella, è insieme classico e anticlassico. È classico per la perfezione e la bellezza di tante sue opere, a cominciare dall’iconico David conservato al Bargello; perfezione e bellezza sono assolute e indiscutibili. È però anche anticlassico, perché la perfezione per lui non è una forma chiusa, ma viene messa in gioco e “trafitta” dalle tensioni e dal temperamento inquieto dell’artista, come accade in quel capolavoro fuori da ogni canone che è la scena della Resurrezione di Cristo, bassorilievo in bronzo per i Pulpiti di San Lorenzo.
Proprio dalla stessa basilica fiorentina sono arrivate in mostra due opere assolutamente emblematiche per capire Donatello: sono i battenti in bronzo delle porte della Sacrestia Vecchia disegnata da Brunelleschi. Per comporre le scene sui battenti Donatello ricorre ad uno schema delle porte medievali, con una sequenza di riquadri. Ma all’interno di quella gabbia arcaica immette un’energia esplosiva. Come scrive Caglioti, “Donatello plasmò venti riquadri nei quali altrettante coppie di santi, campite su fondi neutri, si affrontano e disputano nei modi più diversi, partoriti da un’inventiva scatenata”. In una delle due porte rappresenta gli apostoli, sempre a coppie. Sono scene concitate, dove i santi sono immaginati in pose quasi scomposte, nel pieno di discussioni appassionate. Si guardano frontalmente, come se fossero su un ring (non per niente su queste opere si consumò la rottura con Brunelleschi, che vide violati gli equilibri degli spazi da lui concepiti). Gli apostoli si confrontano a viso aperto, su quello che hanno visto e sperimentato. Hanno il cuore infiammato da ciò che hanno vissuto. Donatello non media, non li riporta alle “buone maniere”. Anzi lui stesso si infiamma e infiamma anche noi, a quasi sei secoli di distanza. Ecco perché davvero non si può perdere questo appuntamento con lui…
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