Quando mi è capitato di sentire un grande maestro di questi nostri anni come Jannis Kounellis ripetere quasi con ostinazione che le Madonne di Tiziano per lui rappresentavano l’inizio di tutte le libertà, devo ammettere che accoglievo ammirato quella sua affermazione senza riuscire a possederla fino in fondo. La stessa cosa capitava davanti alla scelta di un altro maestro come Alberto Garutti, che realizzò una sua opera dipingendo una linea ordinata lunga quanto la distanza che separava il suo studio veneziano dalla chiesa che ospita la “Assunta” sempre di Tiziano.



Cosa originava tanta certa ammirazione verso un grande genio del passato da parte di esponenti importanti dell’arte di oggi, esponenti di un mondo tanto cambiato e diverso? Sono quelle domande che ci si trascina nel tempo senza arrivare a dare risposte esaurienti. Qualche tempo fa però il caso è stato d’aiuto. Ascoltando su YouTube una lezione di uno dei più affascinanti storici dell’arte di oggi, Alessandro Ballarin, ad un certo punto, come in un inciso, il suo discorso cadeva su un libro di cui non avevo sentito parlare. Un libro dimenticato, scritto ad inizio secolo da uno studioso francese, Louis Hourticq, dedicato alla Giovinezza di Tiziano.



È bastato l’accento ammirato con cui Ballarin ha ricordato quella vecchia lettura, per mettermi a caccia del libro. Non è stata impresa semplice, alla faccia di un mercato editoriale che tende a non deluderci rispetto a nessun nostro desiderio, ma alla fine il risultato è stato raggiunto. Il libro è arrivato in vecchia edizione e in quel libro c’erano le risposte a quelle domande rimaste in gran parte sospese.

Perché Tiziano può essere visto oggi da due artisti che “hanno masticato” linguaggi d’avanguardia l’inizio di una nuova libertà? Hourticq accompagna nel trovare la risposta indagando proprio sulla giovinezza di Tiziano, cioè sul modo con cui si è palesato sulla scena della storia. E mai come nel suo caso la categoria della “giovinezza” appare categoria appropriata. Tiziano, che si affaccia a Venezia neanche ventenne, veniva dall’entroterra. Era infatti figlio delle montagne del Cadore. Arrivando in una città in cui lavoravano dei “giganti” come Giorgione o Giovanni Bellini (dei quali era stato allievo), porta con sfrontatezza un vento nuovo. Una pittura in cui la realtà inizia a parlare con un linguaggio libero, che fa respirare e rende “vivi” i soggetti religiosi. Il giovane Tiziano, senza farsi troppi problemi di reverenza, archivia i modi dei maestri che lo avevano preceduto e in parte anche formato. La sua pittura è come un soffio innamorato del mondo, dei corpi (femminili in particolare), della natura, degli alberi, dei cieli. È pittura che si fa largo con la forza dirompente della giovinezza.



Tra le pagine del libro di Hourticq la produzione religiosa del giovane Tiziano è vista come tentativo di “creare un ‘meraviglioso’ cristiano”. Ne è emblema la favolosa “Fuga in Egitto”, dipinta nel 1509 a circa 20 anni, e conservata all’Ermitage. Una tela di grandi dimensioni dominata da un immenso paesaggio. C’è dappertutto un brulicare di animali, di foglie, di erba, di vento agitato: Giuseppe, Maria e il Bambino entrano da sinistra, guidati dal giovanotto che fa da angelo; transitano nel paesaggio senza che nulla di quel brulichio venga sospeso. È questa la bellezza dell’invenzione di Tiziano, che si permette di soprassedere sugli effetti speciali e inserisce quel viaggio nel flusso normalissimo e amato della vita del mondo. È una tela “incamminata” questa di Tiziano. Ed è bello immaginare che lui si senta come quel giovanotto-Angelo, che riporta la pittura religiosa dentro un mondo che ci è molto famigliare.