La grande mostra su Raffaello alle Scuderie del Quirinale accade in un tempo difficile e complesso, portando l’imprevisto di una singolare sensatezza. Mette in luce, infatti, tra i molteplici temi, un aspetto significativo per l’oggi: la ricerca di un abbraccio al mistero incommensurabile della vita. Tale mistero si presenta con il volto della donna: La Fornarina, La Velata, La dama col liocorno, ecc. Nei celebri dipinti emerge uno sguardo alla profondità dell’essere femminile, non la ricerca di un possesso o un tentativo di intelligente cattura dell’immagine desiderata. Il volto della donna è un tuffo dal proprio cuore al cuore dell’altra.
Raffaello cerca, infatti, di andare fino alle viscere della realtà con il suo pennello, ma tutto cambia in lui quando sono le profondità stesse del Mistero a spalancarsi. Non è più il soggetto a cercare un abbraccio, ma la tenerezza di una madre ad abbracciare.
La dinamica di questo capovolgimento è stata ben colta dagli autori russi. Anna Snitkina in Dostoevskij mio marito (Bompiani 1991) racconta che lo scrittore nel soggiorno a Firenze contemplava con meraviglia la Madonna della seggiola. In quell’opera dalla misteriosa bellezza, il Bambino è tutto preso in un abbraccio. Entrambi, la Madre e il Figlio, con il loro ineffabile “sì”, spalancano nella storia una realtà altra di tenerezza infinita, che chiede e invita ogni soggetto a un oltre.
Lo scrittore nei giorni trascorsi in Italia apprezzò anche altre opere del geniale pittore: San Giovanni nel deserto e a Bologna Estasi di Santa Cecilia, unica donna in grado di ascoltare l’armonia celestiale delle parole divine. Ma che cosa condivideva Dostoevskij con Raffaello?
Probabilmente, sentiva un sotterraneo flusso, una corrente tellurica, mano a mano diventare simpatia per la stessa ricerca del segreto della donna. Il rapporto non semplice con la prima moglie, la passione tormentosa per Apollinarija Suslova e poi finalmente l’abbraccio fedele e salvifico con Anna, studiato da Sergej Belov in Dostoevskij e Anna. Storia di un grande amore (Paoline 1991), costituivano per Dostoevskij una domanda bruciante e decisiva e dunque un passo al proprio destino. E tutte le donne protagoniste dei suoi grandi romanzi – dalla degradata e contemporaneamente grande Sonja di Delitto e Castigo alla misteriosa ed enigmatica Nastas’ja de L’Idiota, da La mite suicida a Liza Chochlakova, prigioniera dei suoi fantasmi mentali, dalla visionaria zoppina de I demoni a Lizaveta, vittima della violenza – rappresentano un tentativo di sorprendere l’origine misteriosa della domanda.
Nella vita del genio russo ebbe grande importanza l’incontro con la Madonna Sistina vista a Dresda. Una copia, donatagli dalla moglie di A. Tolstoj, gli fu portata dal giovane amico Solov’ëv, mistico e filosofo, alla ricerca della Sofia, restando per sempre nel suo sguardo.
La Madonna Sistina, per Dostoevskij, non è solo un’opera interessante per la percezione, come per Wölfflin o un sublime dipinto da guardare con devoto sentimentalismo, ma l’irruzione nella realtà di una salvezza in atto, l’evento di grazia di un sorriso definitivo nella scena del tempo. Non è il soggetto a guardare, ma la Madonna, proprio Lei, a vedere e a venire incontro. Così scrive la moglie Anna nel suo libro di memorie: “mi parve che la Madre di Dio, col bambino in braccio, volasse incontro a chi le si avvicinava”. E nel 1874 Ivan Gončarov, autore stimato da Anna, descrive la Sistina come una figura che esce dalla tela.
Per cogliere meglio, però, il punto di nascita di tale potenza di incontro, bisogna ricorrere a Florenskij, che non amava Dostoevskij, per la sua karamazovscina (attenzione all’abiezione umana), ma forse gli era più vicino di quanto pensasse.
Il “Leonardo da Vinci russo” in Ikonostas (Le porte regali. Saggio sull’icona, a c. di E. Zolla, Marsilio 2018) descrive, con la sua inconfondibile scrittura, un Raffaello segnato dall’inquietudine, dal tumulto dell’agitazione, appena placata e subito rilanciata dalla preghiera continua. Egli viene visto/visitato da una visione reale, da una presenza che avanza: la Madonna. Un essere vivo, una geniale e assoluta femminilità che abbraccia il fondo dell’umano e che Raffaello seppe poi esprimere con le sue Madonne, in special modo nella Sistina.
Ma che cosa ama dell’uomo la Sistina dell’Urbinate, per suscitare una commozione così intensa? Tale capolavoro assoluto, presente in copia nella Jasnaja Poljana di Tolstoj e apprezzato da tanti autori russi, ma per certi versi anche segno di contraddizione e incomprensione – basti pensare alle critiche di Herzen e Belinskij o alle strumentali idee di Bakunin – ama e genera, perché entra nei cuori. Ed entra perché la Madonna è in grado di abbracciare il tremore dell’io di fronte al destino. È in grado di amare quel timore inconfessato di fronte alla complessità e/o gravità della vita che viene.
Questo movimento segreto di abbraccio viene descritto da Küchelbecker, poeta decabrista, invaso da tremore per la purezza dell’immagine e poi, in special modo, da Sergej Bulgakov, a proposito della sua conversione. Bulgakov in Svet nevečernij (“La luce senza tramonto”) scrive: “E d’improvviso, inatteso, l’incontro miracoloso: la Madonna Sistina a Dresda. Tu stessa, Madre di Dio, toccasti il mio cuore ed esso tremò al tuo richiamo…”. Un tremore di riconoscimento, non di paura, un sobbalzo per un volto inesauribile che ama sempre. Un movimento invisibile che nasce da quella che Pavel Evdokimov ne La donna e la salvezza del mondo (Jaca Book, 1989) chiama castità ontologica: un prima del pensiero, un più che pensiero vertiginoso, un’aurora di luce. Un’integrità archetipica, pura espressione della filantropia divina e frutto della fede crocifissa.
E verso il volto della Sistina, Vasilij Grossman, con gli occhi feriti dal male dei totalitarismi, vedeva andare mestamente le madri di Treblinka con i loro bambini: esseri non divorati dalla Storia o ritornati in un arido ventre, ma finiti per sempre in un dipinto, in un Disegno che ricostruisce la storia dal fondo. Solo dentro uno sguardo così misteriosamente casto e ospitale può, infatti, essere abbracciato e lenito il dolore innocente, la ferita aperta senza guarigione, il muto perché.
Un altro quadro di Raffaello ammirato, non a caso, da Dostoevskij è la Visione di Ezechiele, che richiama la pienezza della Maestà divina, portando a una visione trinitaria della storia: un abisso di relazione/i che supera religioni e religiosità, pio comportamento o riluttante scetticismo, correttezza morale e irriverente cinismo. Un altro mondo supera dal di dentro il confine della realtà visibile, perforandone la crosta. L’ 8 luglio 1871, passando dalla Cattedrale della Trinità Izmajlovskij di San Pietroburgo, luogo dove erano state celebrate le sue nozze con Anna, lo scrittore disse: “Davanti a noi tutto è come offuscato da una nube. Prevedo molte difficoltà e preoccupazioni, prima che ci si metta a posto, non ho altra speranza che in Dio”. Il genio russo non aveva visto le belle opere di Raffaello sulla Trinità, ma certamente le avrebbe amate.