È polemica sulla mostra su Artemisia Gentileschi a Genova, accusata di essere “sessista” e “patriarcale”. Il motivo, come riportato da Libero Quotidiano, è da ricondurre ad una stanza immersiva che racconta dello stupro subito dalla pittrice, per cui andò a processo il collega Agostino Tassi.
Al suo interno, un’attrice legge, dettagliatamente ed enfaticamente, tutte le fasi della violenza, con le parole usate dalla vittima proprio in aula, indugiando anche sui particolari più cruenti. Sulle pareti, intanto, vengono proiettati i quadri dell’artista. Al centro della sala, inoltre, c’è un letto, su cui scende un fiume di sangue. Le critiche sono state innalzate da un gruppo di allieve del corso di laurea magistrale in Beni culturali rappresentate da Noemi Tarantini, creato digitale che sui social network tratta proprio di arte. “Artemisia Gentileschi avrebbe voluto diventare un’icona femminista? Non lo sappiamo. Possiamo immaginare, però, che non avrebbe voluto essere ricordata come la pittrice stuprata”, ha scritto in un post.
Artemisia Gentileschi, la mostra a Genova accusata di sessismo: le reazioni
Costantino D’Orazio, curatore della mostra su Artemisia Gentileschi a Genova, dopo le polemiche, ha invitato Noemi Tarantini, il gruppo di allieve del corso di laurea magistrale in Beni culturali e alcune attiviste di Non una di meno per un dialogo tra le sale. Non con l’intenzione di acconsentire alle richieste di chiudere la stanza immersiva sullo stupro, bensì per spiegare le motivazioni della scelta di allestirla. La volontà infatti è quella di creare uno choc visivo, che con un effetto tra il teatro e il cinema colpisca anche il pubblico meno acculturato.
Secondo i più, è difficile trovare vere tracce di sessismo e patriarcato nel percorso che racconta la pittrice simbolo del femminismo, dai quadri fino alla stanza immersiva. Era prevedibile, nonostante ciò, che questo elemento della mostra avrebbe creato qualche discussione nell’era del politically correct.