Tra le tante emergenze economiche e sociali – come per esempio la fortissima riduzione di nuove aperture di imprese di cui vi abbiamo parlato solamente ieri -, l’ultimo allarme arriva da parte della sigla Cgia e ci parla di un fortissimo calo nel numero di artigiani: figure professionali che fino a qualche decennio fa erano al centro delle piccole economie cittadine tra idraulici, manutentori di vario tipo, elettricisti; ma anche – se non soprattutto – sarti, calzolai e piccoli produttori.
Il dato di partenza dell’allarme lanciato dalla sigla sindacale è impressionante e ci riporta indietro fino al 2012 in cui gli artigiani complessivamente iscritti all’apposita gestione Inps erano poco meno di 1 miliardo e 867mila; mentre nell’arco di soli 11 anni (e ci catapultiamo nel 2023) si sono ridotti di 410mila, dei quali ben 73mila nell’arco del solo ultimo anno. Il tutto mentre dal 2008 ad oggi si sono contate anche poco meno di 230mila attività e botteghe chiuse: da 1.486.559 a 1.258.079 registrate nel 2023.
La riduzione degli artigiani potrà sembrare cosa da poco – soprattutto in un periodo storico in cui ai vestiti, ai mobili e agli oggetti fatti su misura si preferiscono le grandi produzioni a catena, talvolta (se non sempre) estere -, ma che diventa drammatico considerando che le nostre città sono abitate da un numero sempre più crescente di anziani, poco avvezzi agli acquisti online, affezionati ai negozietti ‘di quartiere’ e impossibilitati a recarsi nelle grandi città e nei grandi magazzini.
Scoppia l’emergenza artigiani: è boom di tatuatori ed informatici, mentre manutentori e rammendatori chiudono bottega
Difficile – anche per la Cgia che si limita a riportare i dati nudi e crudi – capire cosa ci sia dietro alla perdita di attrattiva dei lavori artigiani, ma si può facilmente immaginare che si sia persa proprio quella cultura del piccolo quartiere a cui accennavamo poco fa, con le ultime generazioni che da decenni preferiscono cercare lavori più remunerativi e (per così dire) ‘sicuri’ delle vecchie arti manuali; il tutto mentre le scuole professionalizzanti diventano luoghi di ritrovo per studenti che non hanno voglia di studiare ma devono – quasi obbligatoriamente – ottenere un diploma per lanciarsi nel mondo del lavoro.
Interessante notare che mentre artigiani come i manutentori, i riparatori, i conciatori e i rammendatori di cui parlavamo poco fa sono quasi completamente spariti della città (specie nelle più grandi ed urbanizzate), tengono ancora banco quelli che operano del benessere – come per esempio i massaggiatori e i tatuatori -, chi opera nel settore alimentare e – forse soprattutto – gli informatici; e mentre a livello locale le inflessioni peggiori si registrano soprattutto nelle province più grandi (Torino in testa, seguita da Milano e Roma), regionalmente i peggiori risultati si registrano in Lombardia, Emilia e Piemonte.