“Piacere di conoscerti!”, è questa la parola chiave della XXIV edizione dell’Artigiano in Fiera, la più importante rassegna di arti e mestieri del mondo, che ritorna da oggi, e fino a domenica 8 dicembre, al polo fieristico di Fieramilano Rho-Pero per la sua XXIV edizione. Tremila artigiani provenienti da circa 100 Paesi metteranno in vetrina, in un giro del mondo spalmato su 9 padiglioni, i loro prodotti tipici e le loro creazioni originali, tutte all’insegna della manifattura d’eccellenza. Non solo: come da tradizione, al centro dell’evento ci saranno le persone, coinvolte in una comunità di lavori e di saperi. “Il segreto della nostra manifestazione – spiega Antonio Intiglietta, ideatore della fiera e presidente di Ge.Fi – risiede proprio nella ricchezza che nasce dall’incontro, dalla relazione diretta che si crea tra persone e artigiani. E con l’espressione ‘Piacere di conoscerti!’ vogliamo comunicare e far vivere il cuore del nostro evento: un’esposizione dell’impresa a misura d’uomo, perché questa è la natura dell’impresa artigiana, che si fa conoscere dalla gente, generando stupore e gratitudine”.



Perché?

Perché uno conosce una storia, un’esperienza, una cultura attraverso il lavoro, la produzione e la comunicazione dell’artigiano. Quindi il piacere di conoscerti è un piacere del visitatore che incontra l’artigiano, ma anche è un piacere per gli artigiani stessi, perché nel comunicare la loro storia e il loro lavoro trovano una ricchezza di umanità, di corrispondenza che li conforta, li gratifica o li critica.

In che senso?

Chiede loro una riflessione su come quel che sono e fanno corrisponde all’esigenza, alla domanda, al bisogno. Si crea una reciprocità tra l’artigiano e il visitatore che diventa un piacere, perché corrisponde a una crescita della propria umanità.

E voi come organizzatori che ruolo avete per favorire questa reciprocità?

Il nostro ruolo è essere dei testimoni. Noi per primi facciamo l’esperienza del piacere di conoscere questi artigiani e mettiamo tutti nelle condizioni di conoscersi. Facciamo da tramite, siamo i facilitatori, affinché questa conoscenza accada. Perciò dobbiamo essere i primi a conoscere, da un lato, i nostri artigiani, e questo è il lavoro di tutto l’anno e sempre. Dall’altro, abbiamo bisogno di conoscere sempre di più il pubblico che visita i nostri padiglioni.

Artigiano in Fiera, fin dall’origine ma con il passare del tempo con sempre maggiore evidenza e consapevolezza, è il luogo dove si sperimenta una concezione dell’economia lontana dai modelli mainstream del profitto a tutti i costi o della decrescita felice. Si può dire che siamo in presenza di un’economia dai volti umani?

Giustissimo, ed è impressionante come questo è proprio lo sviluppo dell’intuizione originaria. Artigiano in Fiera nasce 25 anni fa dalla provocazione dell’allora presidente di Fiera Milano, Cesare Manfredi, che mi disse: tu che sei stato educato da don Giussani a mettere al centro la persona, puoi creare una cosa che non ha mai fatto nessuno, un evento che metta al centro le umanità che lavorano in un’iniziativa economica. E dopo 25 anni, un arco di tempo che ha visto un cambiamento d’epoca, come giustamente ricorda papa Francesco, tutto ciò che si sente dire sulla centralità della persona, sul rispetto della natura nei processi di produzione e trasformazione, sul principio di un’economia che non abbia il profitto come legge suprema, ma sia attenta al rispetto della realtà, delle comunità, dei territori, tutto questo è il Dna di Artigiano in Fiera. Noi non abbiamo bisogno di stilare una Carta etica, perché accada. Noi siamo espressione e testimonianza di una concezione dell’economia che è diametralmente opposta alla concezione capitalistica e consumistica.

Artigiano in Fiera è anche un inno al lavoro, al lavoro come gusto, come bellezza. Come si può vivere un senso del lavoro così?

Per la stragrande maggioranza delle persone che partecipano ad Artigiano in Fiera il lavoro è l’espressione di sé e della loro umanità. E’ la modalità con cui l’uomo compie in qualche modo il suo anelito di conoscenza e di comunicazione attraverso ciò che crea, ciò che realizza. Tanta cultura dei nostri artigiani vive quasi inconsapevolmente questa dinamica, in cui la dimensione religiosa della vita ha a che fare con la capacità di creatività e di espressività. Il lavoro non è la frustrazione dell’umano, è il compimento dell’umano. E’ per me sempre commovente vedere questa positività nei padiglioni della fiera, specie in un’epoca come la nostra in cui il rapporto tra chi crea e chi acquista è sempre più impersonale. Non è una comunicazione di sé all’altro, da persona a persona, ma è mera promozione di un prodotto e il consumatore è ormai un oggetto da cui guadagnare. Il nostro compito è risvegliare e far rivivere questo anelito del cuore, questa coscienza del lavoro.

I padiglioni della fiera ospitano 3mila artigiani provenienti da più di cento Paesi. Un bell’esempio di convivenza nella ricchezza delle diversità. Qual è il segreto?

Nei nove giorni dell’evento vive una comunità globale, fatta di persone, storie, costumi, tradizioni e identità diverse, che condivide il proprio desiderio di comunicare sé agli altri. Al centro c’è il cuore dell’uomo e il suo lavoro e questo non genera mai separazioni e divisioni. Come ci ricordava sempre don Giussani, una comunità vive intorno alla ricerca di un significato e condivide la solidarietà perché condivide la propria umanità. Non è un pensiero, non è uno schema, ma solo un desiderio mette insieme, accetta le differenze e non separa.

Ha senso nell’era della globalizzazione, una foresta dove prevalgono le grandi strutture e le grandi strategie, valorizzare il sottobosco dell’economia artigiana?

Sì. Intanto perché il mondo nel suo consumare si sta consumando. E poi è come se tutto il mondo fosse attraversato da un fiume carsico, in cui il cuore dell’uomo resiste a questa violenza del consumare e del consumarsi, grazie al suo desiderio di compiersi nel rispetto della realtà data e nell’anelito a esprimere il meglio di sé donandosi. E’ la forma economica e imprenditoriale caratteristica dell’artigiano, la cui figura non morirà mai. Anzi, sarà un’alternativa, permanente e resiliente, alla logica della consumazione delle cose e delle persone. Così attuale che in qualsiasi paese del mondo la dimensione artigiana, dall’agroalimentare fino alla gioielleria attraversando tutte le forme della trasformazione della materia, è un elemento portante di occupazione e di speranza per le nuove generazioni. Se invece di spendere miliardi per tenere in piedi grandi aziende di Stato decotte, avessimo investito di più sulle risorse umane, forse staremmo meglio.

In effetti, in Italia, il settore dell’artigianato sta vivendo un momento molto difficile. Cosa bisognerebbe fare per sostenerlo e rilanciarlo?

Le piccole e le micro imprese in Italia rappresentano il 99,4% della nostra economia. Ripeto: il 99,4%, e scusate se è poco. La prima cosa da fare è permettere a loro di continuare a esistere, non soffocarli con la burocrazia e la violenza fiscale, bensì supportarli nell’evoluzione tecnologica, produttiva e creativa. E questo non vuol dire far fuori la grande impresa. Vuol dire che dare per scontato che esiste un’economia che mantiene il paese senza però dargli respiro, è un peccato mortale.

Da due anni l’Artigiano in Fiera guarda con grande attenzione al Mediterraneo e all’Africa. Perché?

A un certo punto, provocato dagli interventi di papa Francesco e in particolare dall’enciclica Laudato si’, mi sono reso conto che non ho un Padiglione Africa, ma tante facce, volti, storie. Ho voluto conoscerli di più e sono andato a trovarli anche nei loro Paesi, in Tunisia, in Egitto, in Marocco, in Senegal, nel Burkina-Faso. E mi sono posto questa domanda: come possiamo investire sui giovani, sulle donne, affinché possano diventare elementi di promozione e di speranza per i loro paesi? In Italia non possiamo più essere per loro un punto dove approdare per disperazione, ma un punto dove presentare le loro capacità. Dobbiamo investire in conoscenza. Ecco perché abbiamo sviluppato, assieme all’Università Cattolica e a E4impact, un progetto di formazione, per accompagnarli dall’attività manuale a quella di impresa artigiana, così da consentire loro di venire in fiera a promuovere, anche in partnership, i loro prodotti e aiutarli a diventare esempi e modelli nei loro. E’ un modo per prendere sul serio la provocazione del Papa: invece di innalzare ponti, costruiamo ponti.

In questi 25 anni Artigiano in Fiera ha sempre raccolto un massiccio e crescente successo di pubblico. Dovesse dare un buon motivo per venire a visitare la fiera a chi non ci è mai stato, come proverebbe a convincerlo?

Vieni a vedere un luogo dove il bello e il buono sono al centro dell’attenzione e c’è qualcuno che te lo vuole comunicare, donandosi.

(Marco Biscella)