La notizia della chiusura di uno dei due forni elettrici della società Arvedi Acciai Speciali Terni è da qualche giorno al centro della cronaca non solo finanziaria. La società ha spiegato che la decisione è stata assunta “a causa del perdurare degli alti costi energetici che non consentono all’azienda di essere competitiva nei confronti delle crescenti importazioni dall’Asia a prezzi stracciati. Il livello del costo dell’energia in Italia, tre volte superiore a quello di altri Paesi europei dove operano i principali concorrenti di Aast, sta condizionando il piano di rilancio dello stabilimento umbro”. Secondo quanto comunicato dall’azienda, lo stabilimento di Terni dal primo gennaio al 31 luglio ha dovuto versare mediamente 97 euro per megawattora contro i 21 in Francia, i 32 in Germania, i 35 in Finlandia e i 62 in Spagna pagati dai produttori di acciaio inox concorrenti di Acciai Speciali come Aperam, Outokumpu, Acerinox.



Ieri a mezzogiorno il prezzo dell’elettricità in Italia era pari a 86,6 euro per megawattora contro i 14,7 della Spagna, i 6,4 della Francia e lo zero della Germania. L’altro ieri, alla stessa ora, in Italia si pagavano 104,2 euro, contro i 45,3 della Spagna, i 31,5 della Francia e i 95 della Germania. Durante la notte quando viene meno la produzione solare le differenze sono inferiori, ma per molte ore del giorno la differenza di prezzi è incolmabile da qualsiasi efficienza o genio imprenditoriale. Le giornate di lunedì e martedì sono esemplificative. La Germania passa da prezzi nulli a prezzi molto superiori alla media nonostante una capacità installata rinnovabile che è un multiplo di quella di qualsiasi altro Paese europeo. Questo è il prezzo dell’intermittenza che condanna il sistema a una volatilità dei prezzi insostenibile per l’industria. In Spagna la produzione rinnovabile, per cui è particolarmente avvantaggiata, si appoggia sul nucleare che vale il 20% della generazione totale. In Francia, invece, il nucleare conta per circa tre quarti della produzione elettrica.



L’Italia non ha il nucleare e almeno metà del Paese non presenta condizioni particolarmente favorevoli per la produzione “green” perché al nord non c’è vento e i giorni di pioggia sono tanti. Le tecnologie che potrebbero consentire di immagazzinare la produzione rinnovabile in eccesso, dalle batterie all’idrogeno verde, oggi sono molto lontane dall’essere economicamente sostenibili. L’Italia, in attesa del nucleare, può abbassare i prezzi dell’elettricità nel medio periodo solo abbassando il costo di approvvigionamento del gas su cui è basato il suo sistema elettrico. In alternativa può sussidiare le imprese energivore spalmando il costo sui contribuenti oppure tagliando la spesa sociale. La terza opzione, per completezza, sarebbe quella di imporre black-out. Nella situazione attuale quello che accade è che le imprese industriali chiudono.



Dentro l’Europa, poi, è impossibile chiudere lo svantaggio con svalutazioni monetarie o con dazi. La creazione di un mercato unico dell’energia è un obiettivo futuribile per cui, al momento, non si può nemmeno ipotizzare una data. Forse l’Italia, per disperazione, potrebbe spezzare i suoi mercati elettrici consentendo alle regioni più ricche di vento e di sole di avere prezzi molto più bassi, ma questo aprirebbe scenari politici molto più sfidanti di qualsiasi autonomia differenziata.

Ricordiamo che il prezzo di acquisto della tassa sulla CO2 decisa in Europa incide per il 20-25% sui prezzi dell’elettricità. In attesa del nucleare, delle batterie, dell’idrogeno verde, il sistema industriale italiano sopporta uno svantaggio competitivo impossibile da fronteggiare. La notizia del forno di Terni dimostra, sempre ammesso che ce ne fosse bisogno, che le esigenze finanziarie delle aziende non sono coerenti con i tempi della transizione. In questo scenario, la produzione nazionale di gas italiana è ai minimi degli ultimi decenni, è ancora in vigore il “blocco delle trivelle” e il Governo di Roma dovrebbe firmare contratti di fornitura dovendo premettere ai propri fornitori che il suo obiettivo è smettere di acquistare il gas del tutto. I vincoli geopolitici sono gli stessi degli alleati inclusi quelli che hanno decine di centrali nucleari o risorse di idrocarburi sterminate. L’unica speranza è che, insieme al buon senso, l’Italia non abbia perso anche l’istinto di sopravvivenza.

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