Si sarebbe tolto la vita poche ore fa il 16enne che in passato fu vittima dei genitori e di una zia, tutti e tre condannati in via definitiva e attualmente in carcere, da bambino segregato nella “casa degli orrori” di Arzachena, in provincia di Sassari. Lo riporta l’Ansa, secondo cui il minorenne si sarebbe suicidato all’interno dell’abitazione di una parente alla quale era stato affidato dopo l’esplosione dell’inchiesta sulle torture in famiglia. Sarebbe stata lei stessa a trovare il corpo del ragazzo.



Nonostante l’allarme, per lui non ci sarebbe stato nulla da fare. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, non avrebbe lasciato alcun biglietto prima di compiere il gesto estremo. La sua storia aveva scosso le cronache della Gallura, portando a galla un tessuto di violenze sconvolgenti finite al vaglio dei giudici e sfociate in una sentenza di condanna a carico dei familiari. Fu proprio il minore, ricostruisce La Nuova Sardegna, ad allertare il 112 nel 2019, quando aveva 11 anni, e a permettere agli investigatori di scoprire l’inferno che avrebbe vissuto per anni tra le mura domestiche.



La casa degli orrori ad Arzachena, genitori e zia della vittima condannati in via definitiva

Attualmente i tre parenti del 16enne morto suicida poche ore fa in Sardegna sono in carcere. Genitori e zia del ragazzo erano stati arrestati nel 2019 con l’accusa di maltrattamenti e sequestro di persona, poi condannati in Cassazione alla pena di 8 anni di reclusione. I fatti per i quali sono stati processati, destinatari di una sentenza emessa in via definitiva nel 2022, risalgono a quando il minore aveva 11 anni.

Secondo quanto ricostruito dall’accusa a carico dei tre familiari, da bambino avrebbe subìto violenze fisiche e psicologiche e sarebbe stato segregato per mesi in una stanza completamente al buio, privato del cibo, dei servizi igienici e dell’acqua calda. Il padre e la madre furono arrestati subito dopo la telefonata del piccolo al 112, più tardi a finire in manette fu anche una zia. I tre avrebbero ammesso le condotte, sostenendo però di averle messe in atto per “educare” il bambino.