Rapporti di affari sempre più stretti, tanto che l’interscambio fra i due Paesi è salito a 32 miliardi di euro, ma anche un asse per spalleggiarsi in contesti cruciali, permettendo alla Turchia di commercializzare i suoi droni in Europa e all’Italia di sfruttare la presenza di Ankara in Africa (non solo in Libia) per veicolare il Piano Mattei, oltre che avere un ruolo in Siria, che oggi sostanzialmente è un protettorato turco.
Per questo, spiega Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, in queste settimane si sono intensificati i contatti tra il governo Meloni e le autorità turche, oltre che tra le aziende dei due Paesi, a partire da quelle della difesa. Un asse consolidatosi grazie all’appartenenza a strutture comuni, come la NATO, ma che agisce anche in modo autonomo rispetto alle istituzioni cui i due Paesi aderiscono.
I rapporti tra Italia e Turchia si sono intensificati negli ultimi tempi e diversi esponenti del governo Meloni si sono recati ad Ankara per incontri con i loro omologhi. Si sta stringendo un’alleanza strategica tra i due Paesi?
I due Paesi sono da sempre ottimi amici, nonostante alcune tensioni, per esempio quando Draghi diede del dittatore a Erdogan. A livello di diplomazia leader to leader, ora tra Giorgia Meloni ed Erdogan c’è una grande sintonia, un rapporto cordiale. Meloni, da quando è al governo, lo ha incontrato più di sette volte, in incontri bilaterali o a margine di altri appuntamenti. Vi è la stessa attitudine nell’affrontare dossier cruciali, dovuta anche al fatto che comunque entrambi propongono istanze conservatrici e, soprattutto, sono sostenitori di un approccio quasi di autonomia strategica sui diversi dossier internazionali.
In termini economici, i rapporti tra i due Paesi a che punto sono?
Ad oggi, in Turchia ci sono più di 1.500 aziende italiane, che si dichiarano al 90% soddisfatte di operare in questo territorio. Guardano alla Turchia favorevolmente anche come mezzo per entrare in Paesi terzi. L’interscambio commerciale ha raggiunto il picco di 32 miliardi, andando oltre l’obiettivo dei 30 miliardi che ci si era prefissati, dopo che nel 2023 si era attestato intorno ai 29 miliardi.
L’interscambio in quali settori si è sviluppato soprattutto?
I settori fondamentali sono macchinari, automotive, tessile e anche l’agro-food. Ci sono grandi compagnie italiane che operano in Turchia, come Ferrero, ad esempio, ma anche Pirelli, Stellantis e Webuild. Anche Leonardo è da sempre in Turchia, dove ha creato una joint venture per la produzione dell’elicottero Atak.
Ma perché adesso Roma e Ankara hanno rapporti così frequenti?
In un periodo storico di grande instabilità e incertezza a livello globale, dove in realtà manca una leadership, si gioca molto su queste sinergie. La Turchia, in questo contesto, è diventata un leader globale nella produzione di droni, che sta vendendo in ogni parte del mondo. In un approccio molto pragmatico, dettato dalla realpolitik, i due governi stanno puntando molto su partnership industriali.
La difesa è uno dei settori trainanti di questo nuovo corso?
Al momento si parla soprattutto di aviazione e aerospazio, quindi dell’acquisizione da parte di Baykar di Piaggio Aerospace, un’operazione che permette all’azienda turca di colmare alcune lacune della sua offerta e che porterà a produrre droni proprio in Italia, in Liguria, per entrare da lì nel mercato europeo. L’Italia, insomma, farà da sponda alla diffusione dei droni turchi. Parallelamente, nel settore della difesa si stanno registrando le visite in Turchia dei vertici di Leonardo, a partire dal presidente Stefano Pontecorvo. Leonardo e Baykar sono in contatto da tempo e, siccome Italia e Turchia appartengono alla NATO, e quindi devono affrontare le stesse sfide, si sta parlando di un’integrazione dei sistemi radar di Leonardo con i sistemi innovativi dei droni Baykar.
I contatti italo-turchi, però, non riguardano solo il business: c’è una strategia per affermarsi come punto di riferimento geopolitico, soprattutto nel Mediterraneo?
I rapporti economici sono il volano per creare altre sinergie in Europa, nel Mediterraneo, in Africa, dove la Turchia si è affermata come security provider, tirando le fila di un fiorente business della sicurezza in diversi Stati. Una presenza che si incontra con gli obiettivi del governo Meloni e del Piano Mattei. Ankara, inoltre, può fare da sponda in Medio Oriente, in vista, per esempio, della normalizzazione e della ricostruzione della Siria, ma avrà anche un ruolo nella stabilizzazione del Mar Nero.
Italia e Turchia, quindi, vogliono spalleggiarsi in una logica win-win da applicare in diverse aree. La prima che viene in mente, in cui potrebbero agire insieme, è la Libia, dove l’Italia è molto attiva dal punto di vista energetico con l’ENI e la Turchia appoggia il governo di Tripoli. Sfrutteremo questa alleanza anche sul territorio libico?
La Turchia già nel 2018-2019 aveva siglato un memorandum of understanding con il governo di Tripoli, che riguarda la delimitazione delle acque territoriali e la formazione delle forze di sicurezza. Entrambi i Paesi, anche durante la guerra, sono sempre stati dalla parte del governo libico riconosciuto internazionalmente, quello di Tripoli. I turchi hanno colmato il vuoto lasciato dagli europei, ponendo le basi della loro presenza in Libia e allacciando rapporti commerciali ed economici. Per questo ora esercitano un’influenza fondamentale nell’area.
Un’influenza che ora l’Italia vuole sfruttare?
Già l’anno scorso Meloni aveva siglato un accordo con la Turchia, con Erdogan, richiedendo sostanzialmente il suo aiuto per contenere i flussi migratori in arrivo dalla Libia. Se pensiamo al Piano Mattei e all’intenzione di applicarlo nell’Africa continentale, bisogna considerare che la Turchia è presente da circa 20 anni nella regione, con ambasciate, centri culturali e forti investimenti. In Somalia è il principale stakeholder: controlla i porti e ha appena aperto una base per il lancio di satelliti spaziali.
Ma, al di là degli interessi comuni, c’è una strategia di fondo che guida i rapporti bilaterali Roma-Ankara?
Secondo me, c’è la volontà di creare un asse italo-turco. In comune hanno l’appartenenza alla NATO e assumono anche posizioni diverse dalle organizzazioni cui appartengono. Possono mantenere un’autonomia strategica e usarsi l’un l’altro per perorare i propri interessi, come di fatto si sta già facendo. L’accordo sulla Libia, di cui non si è mai parlato veramente in pubblico, certifica una convergenza di interessi che porta a formare un asse comune su alcuni dossier cruciali.
Un asse che vuole contare soprattutto nel Mediterraneo?
Sì, ma nell’accezione di Mediterraneo allargato, fino al Mar Nero e al Medio Oriente. Prima della visita del ministro Tajani in Siria, che è sostanzialmente controllata dalla Turchia, c’è stata una telefonata di Giorgia Meloni con Erdogan. In Medio Oriente c’è una frizione di fondo, perché Roma asseconda le istanze di Israele, ma c’è una convergenza sul fatto che è necessario lavorare per la costituzione di due Stati.
(Paolo Rossetti)
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