Israele accusa ancora lo shock creato dall’attacco di Hamas di sabato e deve fare i conti con altre incursioni nel suo territorio, mentre sale la paura per eventuali miliziani “dormienti” che potrebbero essersi infiltrati prima dell’attacco in vista di qualche azione clamorosa nelle grandi città nei prossimi giorni. In attesa di capire quale sarà l’entità della risposta israeliana, soprattutto a Gaza, ora bisogna fare i conti anche con un possibile allargamento del conflitto alla Cisgiordania, che potrebbe portare al coinvolgimento di forze come Hezbollah.



“Hamas – osserva Ugo Tramballi, editorialista del Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’Ispi – ha già vinto mostrando che Israele non è invincibile”. Adesso però anche tra gli israeliani più concilianti rispetto alla questione palestinese prevale l’odio. E mentre l’Iran, nonostante i ringraziamenti di Hamas per l’aiuto, sostiene di non avere a che fare con l’attacco, gli Usa spostano la portaerei Ford nella zona orientale del Mediterraneo per essere più vicino a un’area incandescente in un momento pieno di incognite sul futuro, tanto da far temere un aggravamento della situazione.



L’esercito israeliano ha avuto l’ordine di procedere a un assedio totale di Gaza, con bombardamenti e la chiusura degli accessi alla città, ma senza entrare, almeno per il momento, nella Striscia. E il ministro della Difesa Gallant dice che proprio Gaza verrà colpita in un modo mai visto prima. Cosa hanno in mente di fare gli israeliani per reagire al devastante attacco di Hamas?

A meno che non decidano di ricorrere ad una bomba nucleare tattica, penso che possano mettere in essere un’operazione simile ad altre battaglie combattute contro Hamas a Gaza: bombardamenti a tappeto, destinati a uccidere civili, anche perché Hamas nasconde le sue armi anche in mezzo alla gente, e poi un eventuale intervento terrestre con soldati che entrano a Gaza, come successe nella più grave delle crisi fino a quella odierna, ormai una decina di anni fa. Un intervento che potrebbe essere realizzato utilizzando carri armati ma anche soldati, perché per eliminare i miliziani occorre entrare nei vicoli, nelle casbe, con un alto rischio di perdite umane: entrare in città è estremamente pericoloso anche se si ha una potenza di fuoco superiore.



Potrebbero veramente decidere di stanare i miliziani di Hamas casa per casa?

Non sono sicuro che intendano fare questo. Certamente non c’è mai stato un attacco di questo genere contro Israele. Al massimo Hamas riusciva a entrare in Israele con qualche miliziano attraverso i tunnel, ma quando uscivano li prendevano. È probabile che l’intervento israeliano sarà qualcosa di importante, ma non si riesce ancora a capire in quali termini.

Le incursioni di terra di Hamas sono continuate anche dopo il primo giorno. Sembra che gli israeliani non si siano ancora riavuti dallo shock dell’attacco di sabato: è così?

Questo è incredibile. Non sono ancora riusciti a bonificare il territorio di Israele. E poi c’è il pericolo dei “dormienti”, miliziani che si sono introdotti con l’ordine di non fare nulla inizialmente, per arrivare magari in seguito, fra una settimana, a Tel Aviv o a Gerusalemme e aprire il fuoco in mezzo alla folla. È un rischio che l’intelligence israeliana sta cercando di valutare dopo la figuraccia fatta per non essersi accorta dell’attacco.

Ma qual è lo stato d’animo della gente in Israele in questo momento?

Io vivo a Gerusalemme, anche se in questi giorni sono in Italia, da giovane ho fatto il volontario nei kibbutz e parlando con diversi amici posso dire che anche tra chi partecipava alle manifestazioni del sabato contro Netanyahu ed è storicamente pacifista, tra chi capisce che è necessario un compromesso con i palestinesi, adesso prevale l’odio. Ed è difficile che non si riverberi nei soldati israeliani che attaccheranno Gaza.

Quando c’è stata la protesta per la riforma della giustizia di Netanyahu, che in pratica esautora la Corte suprema dai suoi poteri e permette al Governo di agire senza nessun controllo, molti riservisti avevano annunciato che non avrebbero risposto alla chiamata proprio perché fortemente contrari a questo provvedimento: un aspetto che ha influito sull’inadeguata risposta all’attacco di Hamas?

Sì, è probabile, perché anche i comandanti militari in carica, i capi dello Shin Bet, del Mossad, hanno manifestato contro il Governo, così come i riservisti e i piloti da caccia. Indubbiamente la preparazione è venuta meno e l’attenzione di chi era in servizio, come i militari responsabili della difesa e della sicurezza, era più spostata su quanto la difesa di Israele avrebbe pagato a caro prezzo il dissidio interno. Così si sono distratti su Gaza. Per di più in questi ultimi 18 mesi Hamas è stata molto tranquilla, quando ci sono stati scontri e lanci di missili da Gaza alcuni mesi fa non ha preso parte all’azione. E lo stesso è successo nella battaglia di Jenin, combattuta dalla Jihad islamica: si è limitata a manifestare grande sintonia. Sembrava che in Hamas cominciasse a prevalere la versione politica della lotta di liberazione. Questo ha portato tutti i reparti più importanti a trasferirsi nella West Bank, in città palestinesi come Jenin e Nablus. Persino a Gerico.

Gli Usa stanno portando verso il Mediterraneo orientale la portaerei Ford e Biden ha detto che invierà armi per sostenere Israele: quale ruolo possono avere ora in questo nuovo scenario di guerra gli americani?

L’affermazione di Biden è da campagna elettorale: la comunità ebraica americana è influente, ma pensare di mandare armi come in Ucraina è ridicolo. Israele ha le forze armate più potenti del Medio Oriente e tra le più tecnologicamente avanzate del mondo. Il discorso della portaerei è diverso: quando c’è una grave crisi in Medio Oriente senza sapere se, come e quando il conflitto potrebbe allargarsi, è naturale che gli Stati Uniti mandino un presidio.

Hamas ha ringraziato l’Iran per il supporto, anche se ufficialmente Teheran non ha confermato il suo coinvolgimento. Israele potrebbe prendersela anche con gli iraniani? E con quali conseguenze?

Questo aspetto è molto curioso. Hamas ha ringraziato gli iraniani come compagni di lotta che hanno dato un aiuto essenziale. Ma poi gli iraniani hanno detto che non c’entrano niente, così come Hezbollah, anche perché in Libano sono alle prese con una grave crisi politica ed economica. Per questo non credo che il conflitto si allargherà in questo senso. Nella West Bank, invece, nelle città palestinesi della Cisgiordania, la presenza di Hamas e della Jihad islamica è molto forte, la guerra potrebbe allargarsi lì.

Con quali conseguenze?

Un allargamento di quel genere potrebbe anche costringere Hezbollah o altri a intervenire in qualche modo.

(Paolo Rossetti)

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