Nel calcolo dell’assegno di divorzio entra anche la convivenza more uxorio. Lo hanno deciso le Sezioni Unite della Cassazione, che con una sentenza storica (35385) riconoscono pari dignità al legame prematrimoniale. Pertanto, il giudice non può ignorare il periodo di vita comune prima delle nozze, quando decide sul diritto all’assegno divorzile e sull’importo. Inoltre, dovrà dare peso alle eventuali rinunce professionali e ai contributi del coniuge che non è in grado di mantenersi dopo il divorzio. La sentenza affronta e risolve la «questione della massima particolare importanza» dell’incidenza o meno sull’assegno di divorzio del periodo di convivenza prematrimoniale, quando però è stabile e duratura.



Nella sentenza si legge che in un periodo in cui la convivenza «è ormai un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento – nei dati statistici e nella percezione delle persone – dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali». Come evidenziato dal Sole 24 Ore, la sentenza della Cassazione è una conseguenza logica del verdetto delle Sezioni Unite del 2018, quando fu accantonato ogni automatismo sul diritto all’assegno e sulla quantificazione legata al tenore di vita, valorizzando invece alcuni aspetti cruciali, come il contributo durante l’unione al patrimonio comune o di uno dei due o le eventuali rinunce professionali in nome della famiglia. Criteri che possono essere estesi alla convivenza prima del matrimonio.



“VALUTARE CONTRIBUTO DATO E RINUNCE PROFESSIONALI”

Le Sezioni Unite della Cassazione danno atto della differenza importante che resta nell’ordinamento italiano tra convivenza e matrimonio, anche dopo la legge sulle unioni civili, ma d’altra parte chiariscono che «convivenza e matrimonio sono comunque modelli familiari dai quali scaturiscono obblighi di solidarietà morale e materiale, anche a seguito della cessazione dell’unione istituzionale e dell’unione di fatto». Quindi, il diritto vivente deve farsi carico dell’evoluzione del costume sociale. Pertanto, i giudici interpretano la nozione di famiglia e i suoi vari modelli, in virtù degli elementi di “fatto” e di “diritto” che la caratterizzano. Il caso esaminato riguardava una convivenza di sette anni con la nascita di un figlio e la rinuncia al lavoro della ricorrente.



La conclusione della Cassazione, spiega il Sole 24 Ore, è che non si può escludere dall’assegno di divorzio la convivenza, se ha «consolidato una divisione dei ruoli domestici capace di creare “scompensi” destinati a proiettarsi sul futuro matrimonio e sul divorzio che dovesse seguire». Secondo la Suprema Corte, la scelta della coppia di dare «stabilità ulteriore all’unione di fatto attraverso il matrimonio, che rappresenta il fatto generatore della disciplina dell’assegno divorzile, vale a “colorare” e a rendere giuridicamente rilevante qual modello di vita, la convivenza di fatto o more uxorio, adottato nel passato, nel periodo precedente il matrimonio».