Un giudice può imporre ad un genitore inadempiente il mantenimento “extra” dei figli. Lo scrive il quotidiano Il Sole 24 Ore secondo cui, se i coniugi si sono accordati e poi uno dei due si rifiuta di contribuire alle spese, può appunto intervenire la giustizia. La decisione giunge dal tribunale di Perugia, nella sentenza numero 1667 pubblicata il 2 novembre scorso. Si tratta di una pronuncia che chiude un giudizio in merito alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. In quel caso un uomo si era rifiutato di contribuire ad ogni spesa non indicata nel piano genitoriale, costringendo quindi l’ex a vari esborsi come ad esempio il taglio dei capelli, l’acquisto delle scarpe e le visite mediche.
Il tribunale, nel decidere la lite, ha confermato la collocazione paritaria dei figli in quanto i minori non avevano registrato alcun disagio in tal senso, ma in merito alla ripartizione degli oneri di mantenimento, i giudici hanno rilevato l’equivalenza dei redditi delle parti, evidenziando però «le condotte reiteratamente ostruzionistiche» del marito, che si rifiutava appunto di contribuire a qualunque spesa per i figli che non rientrasse fra quelle menzionate nei piani stabiliti dalla separazione consensuale, e anzi tendeva a «sottrarsi anche al pagamento di quelle ivi contemplate».
ASSEGNO MANTENIMENTO: “DEVE PAGARE 80 EURO EXTRA PER OGNI FIGLIO”
Un comportamento del padre che secondo il giudice rendeva «estremamente complessa e disfunzionale una coordinata gestione delle esigenze dei minori», che rischiavano di non poter partecipare «ad attività, scolastiche e non, che i loro coetanei normalmente svolgono». Esigenze e attività molteplici e mutevoli, che «nemmeno il più completo dei piani genitoriali può predeterminare nel dettaglio».
I giudici hanno quindi stabilito che il padre debba versare mensilmente all’ex 80 euro come titolo di assegno di mantenimento ordinario per ogni figlio per «consentire alla madre di affrontare, anche in assenza di risposta e/o adesione paterna, spese ordinarie nell’interesse dei figli». Gli importi, conclude il giudice, non ammettono compensazione «di sorta rispetto a crediti di qualunque tipo vantati nei confronti dell’avente diritto».