Il 1 luglio 2022 il Coordinamento Generale Statistico Attuariale dell’Inps ha pubblicato un prezioso report, prodotto di un “Osservatorio statistico sull’Assegno Unico Universale”, con i dati relativi alle domande raccolte per l’assegno unico nei primi cinque mesi dell’anno (da gennaio al 31 maggio 2022). Si tratta di un sintetico report (20 pagine in pdf), più un allegato statistico, ricco di dati per tipologie familiari, aree territoriali, ammontare degli assegni erogati, ecc. Ed è doveroso apprezzare questa dinamica di trasparenza, che sta lentamente ma progressivamente prendendo piede anche per le misure di politica sociale, che consente a ogni stakeholder di verificare la reale attuazione dei provvedimenti grazie all’analisi dei dati, e non solo sulla base di comunicati stampa o di percezioni parziali.



Rimandando alla lettura del documento completo, per chi vuole farsi un’idea più puntuale, cogliamo quindi l’occasione per fare il punto su un provvedimento che costituisce sicuramente un punto di svolta nelle politiche familiari nel nostro Paese: l’assegno unico universale. Senza pretesa di sistematicità, prenderemo in esame alcuni aspetti sicuramente rilevanti.



In primo luogo, la diffusione della misura: dal report emerge che circa l’85% dei destinatari potenziali (8.371.912 destinatari) ha beneficiato dell’assegno unico, già in questi primi mesi. Nel complesso sembra un dato soddisfacente, che proviene da percorsi istruttori differenziati: ricordiamo infatti che l’assegno unico non viene erogato automaticamente, ma il genitore/i genitori devono richiederlo, con procedura ad hoc, e presentando una cospicua documentazione (Isee incluso). Ed è interessante rilevare che tra le 5.202.478 domande approvate quasi la metà è stata presentata direttamente dai cittadini tramite i portali, mentre l’altra metà è passata prioritariamente tramite l’assistenza dei CAAF. Un segnale di forte attenzione, e anche di una discrepata capacità di autogestione. Da segnalare anche che a queste domande vanno aggiunti i nuclei familiari che beneficiavano già del Reddito di cittadinanza (circa 700.000 minori), per i quali era previsto un meccanismo automatico di erogazione (dato che la documentazione era già stata raccolta). Può sembrare marginale, questo aspetto procedurale-burocratico, ma troppe volte l’accesso ad alcune misure è stato penalizzato da procedure complesse e lente, a volte anche fantasiose (ricordiamo tutti i paradossali click day “chi primo arriva…”, per interventi incapaci di mettere gli aventi diritto in graduatoria secondo le reali priorità di merito).



Un altro dato interessante è la quota di persone che hanno richiesto – e che quindi percepiscono – la quota minima di assegno (50 euro al mese), o perché con Isee superiore a 40.000 euro annui (circa 250.000 figli), o con domande che non hanno presentato affatto l’Isee, che quindi possono accedere solo alla soglia minima (sono circa 1.600.000 figli). Torna qui la questione Isee, che anche dalle conclusioni del report appare essere un misuratore di equità familiare insoddisfacente, perché penalizzante per le famiglie più numerose. In effetti l’assegno unico prevede maggiorazioni dal terzo figlio in su e altri aggiustamenti, che tentano di riequilibrare “l’avarizia” dell’Isee verso le famiglie con più figli. Eppure sarebbe proprio il caso di rimettere mano all’Isee, soprattutto in un momento storico-politico come l’attuale, in cui tutte le forse politiche sono ormai arrivate alla piena consapevolezza (verrebbe da dire “finalmente”!) che la questione demografica e il perdurante blocco delle nascite non è questione marginale o ideologica, ma è un elemento strutturale di vulnerabilità per il nostro Paese (soprattutto verso il futuro), e potrebbe altresì essere uno dei motori di rilancio dell’intero sistema economico e sociale, anche in occasione del Pnrr. 

Il report prosegue con numerose tabelle per numero di figli, per regione, per classe di Isee, e su questo rimandiamo al testo integrale. Ci preme però segnalare due criticità tra loro collegate, che il report non tratta, e che rimangono ancora da affrontare, per una valutazione più organica della capacità di impatto dell’assegno unico: il confronto con il sistema precedente, e il finanziamento complessivo.

Rispetto al confronto con il sistema “pre-assegno unico”, è elevata la percentuale di famiglie che ricevono più o meno quanto ricevevano con il sistema precedente (assegni al nucleo familiare, detrazioni, bonus vari, ecc.). Questo è oggettivamente insoddisfacente, perché era assolutamente evidente, per tutti gli osservatori più informati, l’assoluta inadeguatezza del sostegno economico alle famiglie (soprattutto se confrontato con i principali Paesi europei). Se per molti “non è cambiato granché”, ovviamente questo andrà corretto, per far sì che il maggior numero possibile di famiglie riceva benefici consistenti. Inoltre – dato ancora più grave -, nonostante le ripetute solenni promesse per far sì che “nessuno prenderà un euro di meno”, la quota di nuclei che con l’assegno unico riceve meno del sistema precedente è stimata tra il 5% e il 10% delle famiglie con figli. Non proprio una quota marginale, quindi. E anche la cosiddetta “clausola di salvaguardia”, comunque introdotta sul filo di lana dell’approvazione dell’assegno, dopo un’incessante pressione della società civile, che consente di integrare le minori entrate del nuovo sistema, sarà attiva solo per tre anni, con valori decrescenti di anno in anno, e solo per le famiglie al di sotto di una certa soglia di Isee (26.000 euro). Così, chi aveva un reddito più alto (e famiglia numerosa) non può godere di alcuna compensazione. 

Queste criticità sono collegate ovviamente con il budget complessivo della misura, che non è affatto marginale (si sfiorano i 28-30 miliardi annui), ma è coperto soprattutto con i budget delle misure preesistenti, che sono state cancellate. I soldi “freschi” sono stimati tra i 6 e i 7 miliardi annui; non così tanti, per una misura così ambiziosa, soprattutto se si pensa che il resto (circa 22 miliardi) erano già erogati alle famiglie, con modalità diverse.

Insomma: questo report consente di cominciare a fare un primo “tagliando” all’assegno unico, con un approccio finalmente evidence-based, virtuoso perché consente di analizzare il reale impatto sulle famiglie. Però, se bisogna fare il tagliando, bisogna anche riconoscere i miglioramenti necessari, analizzarli, e trovare soluzioni in tempi ragionevoli (senza cioè aspettare un nuovo Governo e le sue nuove priorità). Le famiglie hanno pazientato anche troppo, prima di ottenere una misura finalmente strutturale e quasi-universale, quale oggettivamente è l’assegno unico: ora però bisogna che eventuali correzioni diventino prassi amministrativa routinaria, da gestire con procedure ordinarie, anziché elemento di controversia e di compromesso politico-partitico, che finirebbe intrappolato nelle infinite contrattazioni della nostra complessa e inefficiente politica.

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