Con una comunicazione al Governo italiano del 16 novembre 2023, la Commissione europea ha formalmente aperto una procedura di infrazione sul provvedimento dell’Assegno unico universale (Auu) per la violazione di due Regolamenti europei: il UE n. 402/2011 relativo alla libera circolazione; il CE n. 883/2004 sul diritto di accesso alle prestazioni sociali. Oggetto della contestazione sono le norme che prevedono il requisito dei due anni di residenza nel territorio italiano per poter inoltrare le domande e l’esclusione dalle prestazioni dei figli non conviventi, a partire da quelli residenti in altri Paesi. Norme che comporterebbero una limitazione del diritto di accesso alle misure e una discriminazione dei trattamenti tra nuclei familiari di analoga entità.
L’orientamento delle Autorità europee fa riferimento anche ai numerosi pronunciamenti della Corte di giustizia europea sul diritto di accesso alle prestazioni sociali universali di carattere assistenziale e che trovano un riscontro anche nelle due precedenti sentenze che hanno imposto all’Italia l’erogazione degli assegni familiari per i figli a carico dei lavoratori dipendenti stranieri rimasti nei Paesi di origine, come previsto per i figli dei lavoratori italiani che si sono recati in altre nazioni.
Le caratteristiche dell’Auu (DLgs n. 230/2021) differiscono sostanzialmente dal precedente istituto degli Assegni famigliari, riservati esclusivamente a familiari a carico dei lavoratori dipendenti e che venivano finanziati dal versamento di uno specifico contributo previdenziale a carico delle imprese e dei lavoratori. L’Auu, entrato in vigore il 1 marzo del 2021, è una misura di natura assistenziale, finanziata con risorse fiscali, per tutti i figli minori, ovvero per quelli maggiorenni che studiano, disoccupati fino a 21 anni o disabili senza limiti di età, e che prescinde dalla condizione lavorativa del nucleo richiedente. La nuova misura ha assorbito gli assegni familiari e le detrazioni fiscali per i figli dei lavoratori dipendenti. L’importo degli assegni risulta condizionato dalle caratteristiche del reddito Isee delle famiglie e diminuisce in relazione alla crescita del reddito familiare assicurando in ogni caso un importo minimo (attualmente di 57 euro) per i nuclei con redditi più elevati o che non presentano la dichiarazione Isee.
Il richiedente deve essere residente, anche in forma non continuativa, per almeno due anni nel territorio ovvero essere in possesso di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro superiore ai 6 mesi. Hanno diritto agli assegni i figli conviventi o comunque presenti nel territorio italiano.
La parità delle condizioni di accesso per la platea dei figli beneficiari e per il calcolo delle prestazioni, che viene prevista per tutti i nuclei residenti a prescindere dalla nazionalità, non è stata ritenuta sufficiente dalla Commissione europea che, nel mese di febbraio 2023, ha richiesto al Governo italiano di motivare le difformità o di modificare le norme oggetto di contestazione.
L’orientamento della Commissione europea, sempre ammesso che nel caso specifico venga assecondato dalla Corte di giustizia, pone una serie di problemi di tipo procedurale e di impatto sostanziale sull’Auu. Il primo riguarda la difficoltà di applicare i requisiti Isee (redditi e patrimoni) in assenza di dati certi, disponibili e comparabili che dovrebbero essere rilasciati dalle autorità dei Paesi d’origine dei migranti. Una misura analoga introdotta per partecipare al Reddito di cittadinanza è stata successivamente neutralizzata perché sostanzialmente inagibile. Questo vale anche per l’accertamento delle caratteristiche dei nuclei familiari in molti di questi Paesi. Una criticità che le nostre Ambasciate locali devono quotidianamente affrontare per verificare la credibilità delle certificazioni per le domande di ricongiungimento familiare.
Un problema destinato a esplodere se si tiene conto che il valore di un Assegno unico (circa 200 euro mensili per i bassi redditi) equivale a uno stipendio garantito nella gran parte dei Paesi interessati.
L’impatto delle innovazioni, in assenza di limitazioni ragionevoli, rende sostanzialmente impossibile ponderare i fabbisogni di copertura dell’Auu (18 miliardi di euro nel 2023 erogati a 5,9 milioni di nuclei e 9,4 milioni di persone) che vengono stimati sulla base dei minori e dei figli a carico presenti nel territorio italiano.
Questa evoluzione offre una spiegazione delle dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi dalla presidente del Consiglio Meloni che sollecitano un cambiamento degli orientamenti europei sulla materia a valle dell’elezione del nuovo Parlamento europeo. Ma, ammesso che le condizioni politiche lo possano consentire, i tempi delle istituzioni europee per correggere i regolamenti sono biblici. Nel mentre dovremo affrontare le eventuali conseguenze di una sentenza della Corte di giustizia attesa nei prossimi giorni verificando la possibilità di limitare l’impatto alla parte autenticamente universale e non condizionata dell’Auu (i 57 euro mensili).
Tutto ciò non rimuove la questione politica, ovvero la necessità di porre un serio interrogativo sulla concreta possibilità di introdurre norme e di espandere diritti in modo irragionevole scaricando sugli Stati nazionali problemi di copertura economica che non risultano paradossalmente compatibili con i vincoli di bilancio imposti dalle stesse istituzioni europee.
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