Le audizioni svolte ieri in commissione Affari sociali della Camera sul Ddl Lepri-Delrio (e altri) sull’assegno unico per i figli sembrano annunciare una decisa accelerazione del dibattito parlamentare, con qualche prospettiva di sviluppo concreto – come ha sottolineato ripetutamente il Forum delle associazioni familiari, anche nell’audizione in questione.
Non si tratta, per una volta, di noccioline: il provvedimento dovrebbe assorbire fino a 30 miliardi, nella sua attuazione completa, e riuscire a garantire fino a 240 euro al mese per ogni figlio, dal settimo mese di gravidanza fino ai 18 anni (e fino ai 26 anni se ancora a carico, pur con cifre inferiori). Un tema singolo, quindi, ha conquistato la scena: il sostegno alla natalità, attraverso un provvedimento che potrebbe fare la differenza.
Tutto bene, allora? Solo il tempo potrà dirlo: noi qui ci permettiamo solo di segnalare alcuni possibili punti critici, che dovranno necessariamente essere affrontati.
Intanto, una prima sorpresa, che lascia anche un po’ diffidenti: ma come, sono anni che “non ci sono soldi per le politiche familiari”, e oggi saltano fuori 30 miliardi? E soprattutto, quanti di questi 30 miliardi resteranno, nella definizione finale della nuova Legge di stabilità?
Nel merito, una prima criticità riguarda il fatto che per adottare questo provvedimento si farebbe piazza pulita di tutti gli altri interventi di sostegno oggi presenti: assegni al nucleo familiare, detrazioni per figli a carico, bonus bebè eccetera. In teoria un processo virtuoso: si sostituisce una complessa giungla di interventi con un provvedimento chiaro, semplice, lineare. Resta, però, legittima la preoccupazione che qualcuno finirà per perderci, in questa operazione, e soprattutto il rischio che, come capita troppo spesso nel nostro Paese, “sicuramente recuperiamo subito le risorse cancellando le vecchie misure”, ma non altrettanto sicuramente implementeremo il nuovo sistema da subito e per tutti. Esiste già oggi un impegno a una sorta di “clausola di salvaguardia” , perché nessun nucleo familiare riceva meno di quanto già oggi riceve; ma sarà tutto da verificare.
Una seconda criticità riguarda la modulazione dell’intervento secondo i redditi dei destinatari: dire “fino a 240 euro al mese” significa affidare ai decreti attuativi la discrezionalità di graduare il contributo secondo il reddito (che non sarà quello familiare, ma il reddito più elevato percepito in famiglia: anche questo un dettaglio potenzialmente iniquo). Su questo è ancora tutto da scrivere: e non è detto che la graduazione sarà soddisfacente.
Una terza criticità riguarda i tempi di attuazione: qualche giornale sostiene che questa riforma potrebbe partire nel 2020, “non all’inizio, ma da metà anno”. Siamo seri: il Ddl deve ancora andare in aula e i decreti attuativi chiederanno almeno altri sei mesi. Se si riuscisse a chiudere per la fine 2020 sarebbe già un grande risultato (pronto e felice di essere smentito, però, su questa tempistica…).
Da ultimo, una riflessione più di metodo: l’assegno unico sarebbe un provvedimento rivoluzionario, se attuato nella sua interezza, un risultato quasi epocale, dopo decenni di sterile dibattito sulle politiche familiari. Manca però a questa misura la capacità – e l’ambizione – di costruire un sistema fiscale a base familiare; l’assegno unico abbandona la promozione della soggettività fiscale della famiglia (per un fisco sussidiario), a favore di una misura a base individualistica (il singolo figlio), e per come è configurato è più una politica demografica (sostegno alla natalità) che una “politica familiare” propriamente detta, che sia cioè capace di promuovere le relazioni familiari, a specificità della famiglia e della sua responsabilità sociale. Con il rischio di “sostenere le nascite” e i figli al di fuori (al posto!) del sostegno organico alla famiglia.
Su questo tema, qui solo brevemente accennato, servirà probabilmente una riflessione più approfondita, non solo nelle aule del Parlamento, ma anche nella società civile.