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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » ASSET RUSSI/ “Da G7 e Ue soluzioni contrarie allo stato di diritto, servono le sentenze dei tribunali”

  • Economia Internazionale
  • Russia
  • Ucraina
  • Esteri

ASSET RUSSI/ “Da G7 e Ue soluzioni contrarie allo stato di diritto, servono le sentenze dei tribunali”

Int. Roberto Virzo
Pubblicato 19 Giugno 2024 - Aggiornato alle ore 10:11
Pacchetto sanzionatorio. Da sin.: Mario Draghi, Emmanuel Macron, Kyriakos Mitsotakis, Ursula von der Leyen (Ansa)

Pacchetto sanzionatorio. Da sin.: Mario Draghi, Emmanuel Macron, Kyriakos Mitsotakis, Ursula von der Leyen (Ansa)

Agli schemi di utilizzo degli asset russi per supportare l'Ucraina si è aggiunto anche quello del G7. Che però, al pari degli altri, presenta molti problemi

Non è affatto facile utilizzare gli asset russi sequestrati per finanziare l’Ucraina. Alle sanzioni inizialmente comminate dal Consiglio UE agli oligarchi russi, e a quelle predisposte per colpire i beni immobili della Banca centrale della Federazione Russa, si sono via via aggiunte altre ipotesi di intervento, man mano che le prime apparivano difficili da attuare. Da ultimo, il G7 in Puglia ha trovato un accordo politico sul lancio di “prestiti straordinari” – recita il comunicato finale – “al fine di mettere a disposizione dell’Ucraina circa 50 miliardi di dollari in finanziamenti aggiuntivi” entro fine anno.


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“I finanziamenti sarebbero ripagati dai flussi futuri di entrate straordinarie derivanti dall’immobilizzazione degli asset sovrani russi detenuti nell’UE e da altre giurisdizioni pertinenti”. In altri termini, i Paesi del G7 emettono debito da rimborsare agli investitori con i proventi degli asset russi immobilizzati.


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Funzionerà? E in caso contrario, sono possibili altre forme di riparazione rispetto a quelle ipotizzate in seno al G7? Lo chiediamo a Roberto Virzo, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Messina.

D’altra parte al G7 non si è parlato esplicitamente di prelevare gli interessi maturati dagli asset della Banca centrale russa già congelati. E un motivo c’è. Alcune riparazioni sono “forse” possibili, spiega Virzo, ma non nella linea adottata dal G7.

Professore, sono mesi che si parla di “utilizzo” degli asset russi sequestrati. Fino ad ora quali sono le principali misure adottate dall’UE?


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Occorre distinguere tra le misure sanzionatorie di natura patrimoniale che riguardano le persone fisiche e giuridiche da quelle che intendono colpire la Banca centrale russa.

Partiamo dalle prime.

Si tratta di misure dirette nei confronti di determinate categorie di persone e in particolar modo i cosiddetti “imprenditori russi di spicco”. I pertinenti regolamenti dell’Unione Europea prevedono che i beni mobili o immobili di tali persone possano essere congelati. Non ne stabiliscono invece la confisca.

Ci richiama la differenza, per favore?

Il congelamento è una misura provvisoria e non determina il trasferimento della proprietà del bene: impedisce al proprietario il godimento del medesimo. Nella confisca il proprietario perde definitivamente la proprietà del bene. La confisca ha quasi sempre natura di pena, che viene comminata al termine di un procedimento penale. Ma ci sono delle eccezioni.

Ad esempio?

Si pensi alla confisca di prevenzione, applicabile nel contrasto alla criminalità organizzata. In tal caso, la confisca di beni può essere inflitta anche senza condanna penale del soggetto destinatario dal provvedimento.

Torniamo alla categoria degli “imprenditori russi di spicco”. Chi vi rientra?

È uno dei profili più problematici del regime sanzionatorio. Vi è in primo luogo un problema di individuazione dei soggetti che possono essere considerati imprenditori di spicco. In taluni casi, la determinazione avviene sulla base di documenti rigorosi, ma, in altri, le istituzioni dell’Unione si sono basate semplicemente su classifiche predisposte da Forbes.

Ed è l’unico problema?

No, il profilo più critico è un altro. Una volta stabilito che una persona sia qualificabile come un imprenditore di spicco, occorrerebbe accertare anche la sua concreta pericolosità. Detto in altri termini, si tratta di una categoria troppo generica per poter desumere che i beni di un dato imprenditore russo di spicco costituiscano una minaccia alla destabilizzazione dell’Ucraina, tale da giustificarne il congelamento.

Senza tale accertamento si procede comunque?

In alcuni casi ciò sembra essere avvenuto. Sono stati presentati anche dei ricorsi dinanzi ai giudici dell’Unione, come nel caso di Roman Abramovič. Tuttavia, in primo grado, i giudici hanno fatto prevalere le ragioni delle istituzioni europee, sostenendo che, indipendentemente da un comprovato coinvolgimento nelle azioni russe di destabilizzazione dell’Ucraina, i fondi dei cosiddetti oligarchi possono essere congelati.

Come si spiega questa decisione e qual è la sua opinione in merito?

La tesi è che, contribuendo alla crescita dell’economia russa, questi fondi finiscono per aiutare il Governo di Mosca, responsabile degli attacchi sferrati all’Ucraina. Si tratta di un ragionamento non del tutto convincente, soprattutto se si considera che l’ordinamento giuridico dell’Unione Europea si fonda sui valori dello stato di diritto.

Finora abbiamo parlato di persone fisiche e giuridiche. Ma c’è anche il problema degli asset congelati della Banca di Russia. Al G7 sembra essere stata raggiunta un’intesa su una loro parziale utilizzabilità. 

Esatto. A riguardo, va anzitutto ricordato che anche nei confronti di fondi della Banca centrale russa presenti in Stati membri dell’UE sono stati adottate misure di congelamento. In questo caso, il collegamento tra i fondi e il Governo di Mosca appare senz’altro più netto.

Ma è possibile utilizzare tali fondi?

La misura prospettata al G7 dovrebbe consistere in un prelievo degli interessi maturati dal 2014 e dei profitti generati dai fondi congelati. A mio avviso, se attuato, il prelievo coattivo si configura come una misura di effetto equivalente alla confisca, dato che determina la definitiva perdita di proprietà su tali proventi da parte della Banca centrale russa. Proprio alla luce di questo effetto, i leader degli Stati partecipanti al G7 si sono premurati di chiarire quale possa essere la destinazione dei fondi oggetto del prelievo.

Cosa è previsto a riguardo?

Il prelievo dei fondi dovrebbe essere destinato alla riparazione dei gravissimi danni subiti dall’Ucraina a causa dell’aggressione e dei bombardamenti russi. Mi sembra che ci sia una similitudine con le convenzioni internazionali in materia di corruzione e criminalità organizzata, le quali prevedono che i fondi confiscati possano essere destinati alle vittime delle mafie o alla società civile lesa dai fenomeni corruttivi.

Ma al vertice pugliese non sembra che i Sette abbiano assunto un obbligo stringente di prelevare gli interessi maturati dagli asset della Banca centrale russa già congelati.

Ciò è normale. Durante i vertici, gli Stati del G7 danno l’impulso a future misure che potranno essere poi definite nell’ambito delle organizzazioni internazionali competenti o assunte direttamente dagli Stati membri.

Gli Stati possono adottare misure unilaterali, suscettibili peraltro di generare una reazione russa, come nel caso che ha riguardato l’Ariston?

La via da percorrere sarebbe prima quella di far accettare la responsabilità internazionale della Russia nella crisi ucraina. Nel sistema ONU, stante il diritto di veto esercitabile dalla Federazione Russa in seno al Consiglio di sicurezza, questa soluzione non sembra realistica. Nel lungo periodo, alcune misure di riparazione potrebbero essere forse stabilite.

Con quali motivazioni e in quali sedi?

Per specifiche questioni collegate ai fatti illeciti imputabili alla Federazione Russa, dai numerosi tribunali internazionali aditi dall’Ucraina a partire dal 2014.

(Federico Ferraù)

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