In un contesto ancora fortemente caratterizzato dai folli aumenti dei costi del gas, la tassa sugli extra profitti delle aziende energetiche resta davvero la carta vincente contro il caro bollette? La domanda non è oziosa, perché la questione resta uno dei temi al centro del dibattito su come mitigare i rincari dell’energia, che stanno mettendo in ginocchio cittadini e settore produttivo.



L’idea di mettere mano agli extra profitti delle grandi compagnie energetiche per “recuperare” liquidità, da destinare poi a favore di famiglie e imprese in “agonia” a causa del caro bollette, è contenuta nel piano proposto dalla Commissione europea come soluzione alla crisi energetica, ormai entrata in una fase drammaticamente acuta.



Sulla carta sembrerebbe il classico uovo di Colombo, ossia una soluzione semplice a un problema di difficile soluzione. Ma l’apparenza inganna, perché sul piano pratico risulta una misura inefficace e sbagliata. Si prenda proprio il caso dell’Italia: solo nel nostro paese il conto della tassa una tantum sugli extra profitti è ampiamente deficitario, visto che il governo Draghi è riuscito a incassare solo un decimo dei quasi 11 miliardi che, grazie al decreto Aiuti bis, prevedeva di recuperare. Il motivo? I ricorsi delle imprese, una ventina in tutto, che giudicano la norma incostituzionale e i calcoli sbagliati, perché non si terrebbe conto di altre variabili che possono influenzare quel numero. Resta comunque il fatto che molte compagnie energetiche oggi stanno vendendo la materia prima a quasi venti volte tanto il prezzo con cui l’hanno acquistata, avendola comprata molto prima dello scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina.



Nonostante le direttive europee, quello degli extra profitti resta dunque un tema molto spinoso, proprio perché in Italia riguarda aziende a partecipazione statale.
«Bisogna però fare anche un distinguo – spiega Mirco Gallus, membro del comitato tecnico-scientifico di Assium, associazione di categoria che si batte per la normazione di questo settore e per difendere i diritti degli utility manager e dei loro clienti –: oggi sono le società di produzione a riportare questi extra profitti, non le società di vendita. Queste ultime hanno gli stessi volumi e la stessa marginalità dell’anno precedente, ma devono far fronte a fideiussioni altissime».

Infatti, nel mare magnum di informazioni, spesso anche confusionarie o complicate, affidarsi a un utility manager, certificato secondo normativa vigente, la Uni 11782 del 2020, può essere un valido aiuto. L’utility manager rappresenta per aziende e famiglie una soluzione concreta per non sentirsi smarriti di fronte a fatture mensili delle utenze astronomiche e insostenibili, perché, oltre a occuparsi quotidianamente di utenze comunemente utilizzate, come energia elettrica, gas, telefonia mobile e connettività, è anche costantemente aggiornato sull’andamento della situazione geopolitica ed economica del settore energetico.

Di tutto questo e di molto altro si parlerà durante l’evento annuale di Assium previsto per giovedì 10 Novembre a Milano. Speakers internazionali del calibro di Oscar di Montigny, Chief Innovation, Sustainability & Value Strategy Officer di Banca Mediolanum e Presidente di Flowe, ed esperti dell’utility management quali Giuseppe Dell’Acqua Brunone, CEO Revoluce e CMO Stantup e Diego Pellegrino, Portavoce presso ARTE Associazione Reseller e Trader dell’Energia – daranno la loro visione sul 2023, un anno ricco di sfide e di opportunità.

L’evento è gratuito ma i posti sono limitati per cui è preferibile registrarsi subito