Erano stati assolti in appello per lo stupro di una 15enne, ma ora il processo è da rifare perché la vittima non è stata tutelata. A deciderlo è la Cassazione, che ha demolito con motivazioni durissime la sentenza della Corte d’appello dell’Aquila dell’anno scorso. Per gli ermellini, i giudici hanno omesso la valutazione di tutte le prove, come la presenza di tracce di liquido seminale dei due imputati, all’epoca ventottenni, sulla maglietta della vittima. Un alpino e un amico ambulante erano stati condannati in primo grado con rito abbreviato a 4 anni per violenza sessuale. In appello il consenso venne risolto, spiega il Messaggero, tramite «una supina accettazione di stereotipi culturali ampiamente superati». Inoltre, per la Cassazione, presieduta da Luca Ramacci, in appello è stata messo in atto la «vittimizzazione secondaria della parte lesa», non credendo all’attendibilità della vittima, che aveva solo 15 anni quando è stata stuprata.
Viene poi bollata come «eccentrica» la scelta di portare la vittima in aula. «La vittimizzazione secondaria della giovane, sicuramente da considerarsi persona particolarmente vulnerabile, si è in effetti verificata ed è iniziata con la decisione di riassumere in contraddittorio l’esame della persona offesa, già escussa in incidente probatorio, scelta ancor più eccentrica laddove si consideri che gli imputati avevano optato per il rito abbreviato», scrive la Cassazione. Peraltro, la 15enne dopo la violenza sessuale aveva tentato due volte il suicidio.
CASSAZIONE DEMOLISCE ASSOLUZIONE IN APPELLO
Per la Cassazione non è convincente neppure il fatto che sia stata accolta la versione degli imputati che, dopo aver negato di conoscere la 15enne ed essere stati incastrati da intercettazioni e prove inequivocabili, hanno sostenuto che la ragazza fosse consenziente. «La Corte non spiega in alcun modo come i due imputati ne avrebbero raccolto il consenso o non ne abbiano percepito il dissenso, posto che il dato innegabile è che entrambi gli imputati hanno avuto rapporti sessuali con la vittima la stessa sera». Gli ermellini, come riportato dal Messaggero, evidenziano anche una parte della sentenza d’appello in cui la Corte precisa che la 15enne ha riferito di aver bevuto qualche bicchiere di vino con gli imputati, ma non al punto tale da ubriacarsi e non ragionare. «Sembrerebbe lasciare intendere, sia pure in modo larvato, una sorta di consenso implicito, soluzione ermeneutica che sembrerebbe ravvisare la non punibilità degli atti sessuali compiuti in mancanza di un esplicito dissenso della vittima, finendo così per porre in capo ad essa l’onere di resistere all’atto sessuale che le viene imposto, quasi gravasse sulla vittima una presunzione di consenso agli atti sessuali da dover di volta in volta smentire, ciò che si risolverebbe in una supina accettazione di stereotipi culturali ampiamente superati».
I giudici della Cassazione si sono soffermati anche sulla versione degli imputati, accusando la Corte di Appello di aver omesso di compiere ogni valutazione sulla credibilità della versione alternativa fornita dagli imputati, anche in relazione al comportamento processuale. Dunque, per la Cassazione i giudici di appello hanno omesso «di confrontarsi con i dati valorizzati dalla prima sentenza: hanno infatti proceduto alla demolizione dell’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni della persona offesa per poi esaminare i soli dati estrinseci che confortavano la soluzione adottata, con un approccio contrario a quello che deve caratterizzare il “metodo scientifico” di ricerca della prova».