Cento anni dalla nascita di Astor Piazzolla. Già, ma a che servono gli anniversari e le commemorazioni dei maestri? “A egregie cose il forte animo accendono”, si chiuderebbe con Foscolo la partita, perché in fondo è tutto lì: il modello virtuoso dei grandi esploratori fornisce un metodo prezioso per tentare di portare i linguaggi e le società un passo oltre. Questo ha fatto Piazzolla, uno “dei forti”, e mai come ora si ha un disperato bisogno di quella fame di rivoluzione culturale che ha animato il suo spirito musicale.



Cresciuto dentro le sonorità classiche del tango di Carlos Gardel, che definì il perimetro di quel genere musicale nella ricomposizione ritmica dei quattro quarti, Piazzolla si formò con uno studio meticoloso della composizione e dell’armonia classiche, studiò con Nadia Boulanger dalla quale mutuò la curiosità per le avanguardie e le sperimentazioni, visse a New York dove respirò l’aria meticcia delle sonorità jazz e poi seppe creare un circuito di suoni che, senza demolire le fondamenta delle tradizioni folk argentine e dell’old tango, creò sartorialmente un nuovo spazio di possibilità dinamiche e compositive per un genere che rischiava d’arricciarsi su sé stesso.



Grazie ad un ascolto attento delle forme del jazz, nella sua vocazione a destrutturare forme e aprire spazi improvvisativi in circuiti anche modali o free, introdusse nel tango stilemi fino ad allora sconosciuti, traghettando quei suoni dentro la contemporaneità. Un affronto che i tradizionalisti e i puristi non digerirono facilmente, specie quando nelle sue formazioni in ottetto o sestetto valorizzò l’uso dell’elettronica (a partire dalle chitarre e dal basso) e quando concepì scritture in ritmi ternari (3/8 o 6/8) a discapito del tradizionale battito forte sul primo tempo dei quattro.



Non è un caso che, da Libertango in poi, le sue musiche sono state messe sotto la lente d’ingrandimento di esecutori tanto classici quanto jazz, finendo indifferentemente nei programmi in cartellone negli uni e negli altri spazi. I classici ammirando l’uso di fughe, contrappunti e aperture improvvise in spazi atonali così propri delle nuove correnti minimaliste, i jazzisti cogliendo le novità sul piano ritmico e sugli spostamenti degli accenti che davano un ulteriore abbrivio all’idea di una musica tutta giocata su sincopi e levare.

Piazzolla e il suo new tango fece, insomma, con Gardel, se è lecito, quello che i Napoli Centrale e Pino Daniele da noi fecero con Murolo: salvare la nobile tradizione folk e popolare, conducendola dentro i nuovi territori della musica, considerata tout court senza definizioni di genere. Non solo, quindi, la danza conosciuta a Montevideo o Buenos Aires, ma anche un nucleo colto, internazionale e condiviso di possibilità creative entrarono, col bandoneonista, nella storia musicale argentina.

E a questo precisamente serve celebrare il centenario della nascita di Piazzolla: festeggiare le infinite possibilità della musica, che può conoscere momenti di arresto nella sua evoluzione storica, ma che il coraggio visionario di qualcuno, coniugato con la conoscenza del passato, può sferzare verso nuove strade da percorrere per il futuro.