Dalla Germania è arrivata la prima ‘condanna’ contro Astrazeneca per il vaccino contro il covid, con la quel il tribunale regionale superiore di Bamberga (nella Baviera) ha dato ragione ad una donna 33enne che si dichiara danneggiata dall’iniezione contro il virus pandemico. Con la sentenza più che riconoscere una qualche trama segreta dietro alla vaccinazione, si impone al colosso farmaceutico di essere trasparente riguardo agli effetti collaterali, in particolare per quanto riguarda la trombosi con sindrome trombocitopenica.
La donna che ha citato in giudizio Astrazeneca si sottopose, senza obblighi governativi ma lamentando una “pressione di fondo”, alla somministrazione del vaccino nel marzo del 2021, sperimentando fin da subito febbre, mal di testa e dolori, poi culminati in una diagnosi di trombosi venosa intestinale. Dopo tre giorni in coma, i medici le rimossero tre metri di intestino ed oggi, a distanza di poco più di 3 anni, la 33enne è gravemente disabile. La richiesta nei confronti di Astrazenca era di 250mila euro di indennizzo, più altri 600mila per i danni fisici causati (a suo dire) dal vaccino e la pubblicazione di tutti i documenti sugli studi clinici. Il tribunale, dando parzialmente ragione alla donna, ha condannato il colosso farmaceutico solamente a pubblicare i dati sulle trombosi, lasciando aperta la possibilità di proseguire la causa a fronte delle evidenze mediche.
Il primo processo contro il vaccino Astrazeneca: “La ricorrente era obesa”
Insomma, per la 33enne danneggiata dal vaccino di Astrazeneca la strada sarà ancora lunga, ma la condanna rappresenta almeno un passo avanti rispetto al primo processo che si è tenuto nel gennaio del 2023 e si è concluso con un nulla di fatto. L’azienda, dal conto suo, non si è assunta alcuna responsabilità, appellandosi proprio a quella prima sentenza, infine impugnata dalla donna che è oggi è costretta in sedia a rotelle.
Dopo quella prima sentenza, per mezzo dell’avvocato Henning Moelle, Astrazenca disse di essere a conoscenza, il giorno in cui la donna si sottopose al vaccino, di “30 casi di trombosi su 5 milioni di dosi somministrate“, in linea con “il normale rischio di trombosi”. In sede processuale l’azienda si difese sottolineando che la donna “soffriva di obesità di terzo grado e aveva un rischio individualmente molto elevato di progressione della malattia grave o mortale in caso di infezione da Covid”, ribadendo anche che “quanto migliore è l’efficacia terapeutica del farmaco e quanto più grave è l’indicazione, tanto più possono essere tollerati effetti avversi“. In altre parole, se il vaccino Astrazenca può salvare delle vite, per altre (purché ovviamente molto minori) si possono giustificare gli effetti collaterali.