CAOS ASTRAZENECA. La nuova sfida sociale, economica, culturale, del terzo millennio è indubbiamente segnata dal difficile equilibrio tra il Covid–19, responsabile dell’attuale pandemia, che ha raggiunto un numero di morti paragonabile a quello di una guerra che muta ma non si arresta, e i risultati ottenuti con la campagna di vaccinazione intrapresa a livello mondiale, ma decisamente disomogenea sul piano geopolitico.



Caso Astrazeneca, la sfida dei numeri e la difficoltà di prendere decisioni

Il virus sembra muoversi con estrema flessibilità in tutto il mondo, adattandosi con facilità all’habitat umano; la sua capacità di mutare, le sue varianti, creano continuamente nuovi focolai che oltre a mietere nuove vittime pongono anche nuovi interrogativi sotto il profilo vaccinale. I numeri hanno una durezza che non si può eludere. I morti, calcolati per difetto in tutto il mondo, sono almeno 3.412.157, di cui, secondo le statistiche ufficiali, almeno 130mila solo in Italia. Più volte è stato sollevato il problema che i morti siano almeno un terzo in più e che le differenze di conteggio dipendano dalla diagnosi posta sui certificati di morte, soprattutto nelle prime fasi della pandemia.



In compenso in Italia sono stati consegnati 45.284.269 vaccini e ne sono stati somministrati 40.504.155, con una percentuale dell’89,27%, che sale al 91,3% in Lombardia. Sorprende però leggere che con questo livello reale di somministrazione, di oltre 40 milioni di dosi, immaginando che nella migliore delle ipotesi siano state due dosi a testa, in Italia risultino vaccinate “solo” 13,5 milioni di persone. Anche i numeri, che in teoria dovrebbero riflettere un’oggettività ben poco manipolabile, in realtà si prestino a molteplici interpretazioni che a loro volta sollecitano una riflessione molto critica.



I numeri appaiono altrettanto difficili da calcolare e da rendicontare quando si passa agli effetti avversi che hanno seguito la somministrazione dei vaccini. Dal 27 dicembre 2020 al 26 maggio 2021 per i quattro vaccini in uso nella campagna vaccinale in corso sono pervenute 66.258 segnalazioni su un totale di 32.429.611 dosi somministrate. Gli eventi avversi gravi correlabili alla vaccinazione più spesso segnalati configurano un quadro di sindrome simil-influenzale con sintomatologia intensa, più frequente dopo la seconda dose dei vaccini a mRna e dopo la prima dose di Vaxzevria (AstraZeneca). Circa il 90% sono riferite a eventi non gravi, come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari. Ad oggi sono quattro i decessi con possibile nesso causale, uno con vaccino mRna e tre con AstraZeneca.

Nell’ultimo rapporto, appena pubblicato, le segnalazioni gravi corrispondono al 10,4% del totale, mentre erano l’8,6% nel precedente rapporto, con un tasso di 21 eventi gravi ogni 100mila dosi somministrate, indipendentemente dal tipo di vaccino, dalla dose (prima o seconda) e dal possibile ruolo causale della vaccinazione. Per quanto riguarda il tasso di segnalazione di trombosi venose intracraniche nei soggetti vaccinati con AstraZeneca sembra in linea con quanto osservato a livello europeo: 1 caso ogni 100mila prime dosi somministrate, nessun caso dopo la seconda dose, prevalentemente in persone con meno di 60 anni.

Quello che emerge con sempre maggiore chiarezza, anche nell’ultimo caso, quello di Camilla Canepa, è che i decessi correlati alle vaccinazioni sono sempre collegate a condizioni cliniche pregresse, di cui forse non si è tenuto sufficientemente conto durante la raccolta della breve analisi che precede la somministrazione del vaccino. Ad esempio una delle persone decedute, un uomo di 79 anni, presentava una storia clinica di ipertensione arteriosa, pregresso intervento per triplice by-pass aortocoronarico e impianto di pacemaker, insufficienza cardiaca moderato-grave, gammopatia monoclonale di significato indeterminato, ipertrofia prostatica e retinopatia; un altro caso segnalato si riferisce a un uomo di 58 anni affetto da ipercolesterolemia, sottoposto in passato a tiroidectomia, deceduto dopo 17 giorni dalla prima dose del vaccino, per trombosi delle vene splancniche con trombocitopenia, splenomegalia, emoperitoneo e conseguente ischemia splancnica. Camilla Canepa, la ragazza genovese di appena 18 anni deceduta dopo la vaccinazione, presentava una piastrino-penia autoimmune familiare, che quasi certamente rientra tra le potenziali cause del decesso. I carabinieri del Nas di Genova stanno ora acquisendo cartelle cliniche e tutta la sua documentazione medica, perché vogliono capire se le due patologie fossero state indicate nella scheda consegnata prima della somministrazione del vaccino, il 25 maggio.

È evidente che i numeri presi in modo decontestualizzato non siano sufficienti a capire cosa è successo, ma attualmente sembra essersi innestato un atteggiamento quasi competitivo tra i centri vaccinali per vedere chi vaccina di più e gli stessi bollettini radiotelevisivi sembrano concentrarsi pressoché esclusivamente sul numero dei vaccini fatti, come se in questa gara virtuosa potessero passare in secondo piano sia le motivazioni per vaccinarsi che le condizioni più idonee per poterlo fare.

Le responsabilità della farmacovigilanza

Il Comitato per la valutazione del rischio in farmacovigilanza (Prac) dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema) ha comunicato il primo segnale relativo ad eventi tromboembolici a seguito di vaccinazione con AstraZeneca nel mese di marzo 2021, concludendo comunque che i benefici del vaccino restassero complessivamente superiori ai rischi e che gli eventi trombotici venosi in sedi inusuali associati a livelli bassi di piastrine dovessero essere elencati come effetti indesiderati molto rari.

L’Ema ha quindi ripetutamente espresso delle perplessità sull’uso di AstraZeneca durante le campagne di vaccinazione, ma in modo ambiguo: frenando e accelerando a seconda del clamore mediatico e contribuendo a creare un disorientamento diffuso, a cui sono seguite successive spinte a vaccinarsi con AstraZeneca senza ulteriori timori. Il 7 aprile 2021 il ministero della Salute, con una circolare tuttora in vigore, con il parere espresso dal Comitato tecnico-scientifico (Cts) dell’Aifa ha raccomandato un uso preferenziale di questo vaccino nelle persone di età superiore a 60 anni, sulla base delle evidenze emerse, dal momento che le reazioni avverse di tipo tromboembolico erano collegate anche al fattore età.

Successivamente, l’Ema ha comunicato che i benefici della vaccinazione aumentavano con l’aumento dell’età e del livello di circolazione del virus. Per cui il beneficio è maggiore con l’aumento dell’età e in condizioni di minore incidenza dell’infezione. Eppure si sono diffuse iniziative di vaccinazione in offerta speciale; giornate dedicate ai maturandi e ai giovani professionisti fino ad arrivare a vere e proprie campagne di vaccinazioni offerte anche ai giovanissimi. Il tutto mentre sappiamo che ci sono milioni di sessantenni non ancora vaccinati, per lo più confusi da un bombardamento mediatico contraddittorio, con cifre ballerine e non sempre interpretabili in modo univoco.

Non a caso il sottosegretario Sileri, più volte sollecitato a fare chiarezza in tema di vaccini, ha affermato che nel nuovo Piano nazionale vaccini sarà dato ampio rilievo alla comunicazione, finalizzata non al semplice passaggio di informazioni, ma essenzialmente a costruire e mantenere la fiducia della popolazione nelle istituzioni sanitarie. La formazione e la comunicazione sono state individuate come azioni trasversali a supporto dei macro-obiettivi, uno dei quali riguarda le malattie infettive prioritarie, fra cui rientrano le malattie prevenibili da vaccino. Nella salute pubblica è necessario porre l’attenzione ai determinanti sociali e ambientali, e il territorio deve essere in grado di rispondere con tempestività ai bisogni della popolazione, sia in caso di un’emergenza infettiva, sia per garantire interventi di prevenzione.

Il Pnp dovrebbe basare le sue azioni soprattutto su prove di efficacia e sulla misura dei risultati, avvalendosi dell’Evidence-Based-Prevention (Ebp). Una delle strategie individuate riguarda il rafforzamento e miglioramento del monitoraggio delle coperture vaccinali, mediante il completamento delle anagrafi vaccinali informatizzate a livello loco-regionale, interoperabili con quella nazionale, favorendo la disponibilità e l’accesso a tutti i punti di somministrazione delle vaccinazioni.

In conclusione

Il governo ha scelto di non rendere formalmente obbligatoria la vaccinazione da Covid, affidandosi ad una scelta libera e consapevole dei cittadini. Ma è mancata una vera e propria azione di educazione alla salute, alla quale si è sostituita durante gli ultimi mesi una strategia della paura. Chi non si vaccina ha molte più probabilità di morire; ma anche chi si vaccina ha un maggior rischio di andare incontro ad eventi avversi. Una comunicazione configgente e costantemente alimentata da indicatori che misurano i decessi da un lato e gli eventi avversi dall’altro, usando la leva della paura una volta in un senso e una volta nell’altro. Si è trattato di una comunicazione oggettivamente schizofrenica, a cui paradossalmente ha seguito su molti siti il lockdown game: ci si può registrare e dopo si entra in una dinamica di proiezioni di dati, di interpretazioni del ruolo delle variabili, in cui la paura è sempre il collante motivazionale degli interventi, senza chiarire quei fenomeni di dissonanza cognitiva che così efficacemente possono risolvere contraddizioni apparentemente insolubili.

Sappiamo che vaccinarsi conviene, ma non è chiaro quando, in quali condizioni, a quale età e con quale tipo di vaccino. Difficile fare un bilanciamento del rischio basato su pregiudizi, su sentito dire e su numeri ballerini. Ma questa è un’altra storia e la Medical education si sta rivelando come un fattore di salute essenziale per avere uno stile di vita sano, prudente ed efficace.

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