E’ stato effettuato un recente studio in Gran Bretagna circa l’utilizzo di un mix di vaccini anti covid, leggasi AstraZeneca e Pfizer, ed è emerso che questo “cocktail” di farmaci produce degli effetti collaterali, comunque non gravi, in numero maggiore rispetto all’utilizzo di un solo vaccino. Si tratta di effetti “a breve termine”, ma che non devono comportare “preoccupazioni per la sicurezza” delle persone. Lo studio, ancora in fase preliminare, è stato effettuato dai ricercatori del Com-Cov presso la prestigiosa università di Oxford, come sottolinea l’edizione online de IlFattoQuotidiano, e per arrivare a tale risultato sono stati sottoposti a trial 830 volontari dai 50 anni in su.



La ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista Lancet, quella che è la pubblicazione scientifica più importante al mondo. Il progetto di Oxford è partito durante lo scorso mese di febbraio, ed è stato successivamente esteso per studiare anche gli effetti di un eventuale mix fra Moderna e il vaccino Novavax, con l’obiettivo appunto di capire se iniettare questi mix possa creare una maggiore immunizzazione o meno.



MIX ASTRAZENECA, PFIZER NON PROVOCA GRAVI EFFETTI COLLATERALI: IL COMMENTO DEL RICERCATORE

Ne è emerso che l’associazione fra un vaccino a Rna messaggero, come sono appunto Pfizer e Moderna, e quello a vettore virale, come AstraZeneca e Novavax, non hanno provocato differenze significative rispetto alle normali somministrazioni, anche se, come detto sopra, è stata registrata qualche reazione avversa in maniera maggiore, fenomeni comunque leggeri come mal di testa, febbre e affaticamenti, quelle reazioni classiche e non gravi, e della durata di solito di circa 24 ore. “I nostri risultati – le parole del professor Matthew Snape, pediatria e virologo a Oxford, nonché uno dei coordinatori del trial, parlando a Sky News – indicano che mixare le dosi può comportare un incremento delle assenze dal lavoro di un giorno dopo l’immunizzazione. Ma è importante notare che non sono emerse preoccupazioni per la sicurezza (dei pazienti) e non ci sono segnali d’un impatto sulla risposta immunitaria”.

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