Nonostante l’alzarsi in coro di voci dal mondo della politica che lamentano il ritardo, soprattutto da parte di AstraZeneca, della consegna dei vaccini, invocando addirittura l’intervento del presidente del Consiglio Draghi, il professor Fabrizio Pregliasco, ricercatore del Dipartimento di scienze biomediche per la salute dell’Università di Milano, direttore sanitario dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano e presidente di Ampas, non è d’accordo sull’uso del termine: “Finiamola di chiamarlo ritardo, dà una idea di inefficienza che così non è. Dovremmo piuttosto ringraziare che dei vaccini ci sono, non era una cosa scontata. La narrazione che parla di ritardi fa passare un messaggio sbagliato.
In questa fase è inevitabile ci siano difficoltà e bisogno di flessibilità dei sistemi interessati”. Per Pregliasco, poi, c’è comunque una problematica di “accaparramento” perché il vaccino è uno strumento strategico, “permette la ripresa dell’economia e la riduzione dei costi sanitari, ecco perché per adesso le nazioni povere sono tagliate fuori dalla vaccinazione”.
Professore, lei che si occupa da sempre di vaccini, sa cosa significa produrne uno. I ritardi a cui stiamo assistendo erano attesi?
Il vaccino è un prodotto biologico piuttosto delicato, necessita di impianti e controlli purtroppo molto stringenti. Più complicato che fare una pillola, per capirci. È possibile che dei lotti possano venir bloccati per controlli di contaminazione microbica o una non adeguata standardizzazione nella concentrazione. Questo è un problema. Poi c’è un enorme mercato, il vaccino ha un aspetto strategico dove gioca un ruolo istituzionale. Purtroppo le aziende che li producono non sono distribuite in tutto il mondo, bisognerebbe definire un superamento dell’aspetto brevettuale o comunque la produzione su licenza.
Vediamo infatti come i paesi del cosiddetto il terzo mondo siano per adesso completamente esclusi, è così?
Purtroppo li compreranno i ricchi, è una diseguaglianza. C’è un aspetto egoistico di ogni paese che desidera avere il vaccino come elemento strategico: oltre l’aspetto etico infatti è anche strategico per l’economia. Il vaccino è fondamentale per la ripresa economica e la riduzione dei costi economici. I governi hanno tutti gli interessi, visti i costi di una persona in terapia intensiva.
Si dice di raggiungere ad aprile 500mila vaccinazioni al giorno e sei milioni al mese, è possibile secondo lei?
Bisogna buttare la palla avanti e poi cercare di raggiungerla, perché la velocità con cui si raggiunge è fondamentale per la ripresa economica.
Intanto il vaccino Pfizer, che inizialmente doveva essere congelato a meno 70 gradi, adesso può essere congelato a meno 20 gradi. È un segnale positivo?
Certo, è una facilitazione alla distribuzione.
Cosa ne pensa di quanto detto da Draghi dell’obiettivo di coinvolgere ogni livello di impegno, dalle forze di polizia all’esercito ai volontari?
Mi ha stupito, perché è totalmente in linea con quanto ho detto in diverse interviste anche come presidente di Ampas dove facciamo volontariato. Bisogna muoversi ovunque, coinvolgere porti, fiere, luoghi istituzionali.
Per cui è d’accordo nell’uso di poliziotti per fare vaccini? C’è chi si è lamentato dell’idea.
Ovviamente non vanno bene per vaccinare, ma solo per organizzare la vaccinazione. Anche i nostri volontari non sono tutti medici e infermieri però possono fare logistica, autisti per il trasporto. Insomma l’Italia deve muoversi per fare uno sforzo corale.
Ancora a proposito del ritardo…
Mi scusi, ma io non lo chiamo ritardo, dà una idea di inefficienza. Quello davanti a cui ci troviamo è una difficile epopea che ha problematiche di logistica e di organizzazione, difficoltà di approvvigionamento e quindi di distribuzione. Dovremmo piuttosto ringraziare che dei vaccini ci sono, non era una cosa scontata. Stiamo cercando di andare avanti il più possibile di fronte a condizioni di base di difficoltà e ricerca di flessibilità dei sistemi interessati, almeno in questa fase.
Alcuni governatori chiedono la zona arancione a livello nazionale, per contenere il diffondersi delle varianti. Lei è d’accordo?
È una decisione politica molto difficile, collegata al fatto che dal punto di vista scientifico non abbiamo certezze da dare al politico. Le opzioni e i risultati effettivi di una scelta o di un’altra sono difficili. Ricordiamoci sempre che siamo davanti a qualcosa che è la prima volta che succede al mondo. È una decisione politica con la P maiuscola, perché il lockdown duro e puro dal punto di vista sanitario sarebbe la cosa migliore ma è impossibile da proporre. Quindi ogni scelta è una dolorosissima difficoltà che deve compendiare la salute, i danni economici e il dissenso dei cittadini. Questo sistema tutto sommato dei risultati li ha ottenuti, una mitigazione della malattia c’è. Adesso facciamo altre prove. Quanto fatto in Lombardia, regione gialla con alcuni comuni rossi, è una mediazione. Vediamo come va.
(Paolo Vites)