Proseguono a cadenza continua gli attentati in Afghanistan, soprattutto nella capitale Kabul. Nelle ultime ore ben tre esplosioni, si ritiene a opera di kamikaze: la prima ha fatto saltare un veicolo blindato nel centro della città, uccidendo un capo della polizia distrettuale; una seconda esplosione ha ferito quattro persone; infine una terza ha colpito un’auto sempre della polizia. “Gli obiettivi sono sempre gli stessi – ci ha detto in questa intervista il professor Marco Lombardi, docente di sociologia all’Università Cattolica di Milano ed esperto di terrorismo -: in Afghanistan, a differenza dell’Europa, esercito e polizia svolgono una funzione similare, vigilare sulla sicurezza e opporsi militarmente ai rivoltosi”. Tutto questo mentre continuano da mesi i colloqui di pace tra americani, governo afghano e talebani: “Questi attacchi non hanno come significato ricattare i negoziatori, ma mostrare agli interlocutori che il governo di Kabul non è in grado di difendersi, è debole e che i talebani possono colpire quando e dove vogliono, quindi sono destinati ad assumere un ruolo guida nel governo afghano”. Sempre secondo il professor Lombardi, Biden sarà costretto a riconoscere questo ruolo, legittimando la presenza talebana, unico modo per terminare questo stato di guerra che ormai dura da vent’anni senza risultati.
Nella nostra ultima intervista ci aveva ricordato come la violenza faccia parte dei negoziati in corso, in una guerra che ha assunto una natura ibrida: da una parte i colloqui, dall’altra gli attentati. È questa la strategia in atto?
Purtroppo la violenza fa parte dei negoziati. Le parole sul tavolo utilizzano la violenza prodotta sul campo. Dipende da come fa parte del medesimo gioco. La polizia in questo senso non è mai uscita dal mirino.
Come mai è l’obiettivo principale?
Dieci anni fa era l’esercito afghano a essere preso di mira, poi nella transizione verso un governo indipendente ha preso il suo posto la polizia, che è una funzione della forza di sicurezza afghana, non sono corpi separati come abbiamo in Europa. Le funzioni della polizia sono assunte in parte dall’esercito, e in questo c’è una continuità anche negli attacchi. Dieci anni fa i combattimenti erano più aperti, si attaccava l’esercito come in ogni guerra, mentre oggi nel mirino è la polizia, quella polizia che proprio noi italiani con i nostri carabinieri abbiamo cercato di addestrare.
A che punto vogliono arrivare i talebani?
Attaccare la polizia succede in tutto il mondo, la polizia ha la funzione di sorvegliare e custodire la legalità. Viene presa di mira ovunque da chi vuole cambiare il sistema con la violenza.
Ma i colloqui di pace? Come possono proseguire alla luce di questi atti di violenza? Americani e governo afghano tacciono e non dicono nulla?
Attenzione, la violenza non entra come minaccia nei colloqui, non pensiamo che i talebani minaccino: ne ammazziamo oggi cinque e se non ci date quello che vogliamo, domani ne colpiremo dieci e così via. Non funziona così. Gli americani, come si vede, non sono nel mirino, anche se siedono ai negoziati. La dimostrazione più significativa che vogliono far passare è far vedere quanto è debole l’altro convitato, il governo di Kabul. Con questi attacchi è come se volessero mostrare a tutti quanto è debole il governo afghano. È come se dicessero: siamo in grado di colpirlo quando vogliamo, facciamo quello che vogliamo. Questo è il messaggio che stanno cercando di dare.
Intanto il segretario generale della Nato si dice preoccupato per il livello di violenza raggiunto, mentre i consiglieri di Biden gli suggeriscono di non ritirare subito, come voleva Trump, i soldati americani, che sono lì da vent’anni senza essere riusciti a combinare granché. Che succederà ora?
Bella domanda. Io credo che smobilitare non si può, ma allo stesso tempo Biden deve per forza arrivare a qualche compromesso che comprenda anche i talebani, non può star lì per altri vent’anni in una guerra inutile. Credo che Biden sia forse la persona che dovrà chiudere la questione incorporando i talebani nella chiusura, trovando un modo per legittimarli e inserirli a livello governativo.
(Paolo Vites)
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