L’assalto a Capitol Hill a Washington ha avuto almeno un effetto positivo: ha spazzato via gli ultimi alibi che hanno coperto la realtà di quello che è avvenuto in questi anni. Per troppo tempo, negli Usa come in Italia, c’è chi ha provato a far passare l’idea che in fondo Donald Trump fosse un po’ “insolito”, ma in definitiva un buon presidente, autore di un boom economico, capace di tenere testa alla Cina, tutelare la famiglia e i valori, respingere le offensive culturali della sinistra. Su questa favola hanno costruito le loro fortune anche i populismi europei.



Pochi giorni prima che Trump venga cacciato dalla Casa Bianca, è finalmente chiaro quale posto gli tocca nella Storia: quello di un gangster finito per tanti motivi nello Studio Ovale, che tiene in ostaggio un partito allo sbando, il Gop, per ottenere un salvacondotto per sé e il suo clan familiare. Ed è altrettanto chiaro che i populismi, di qualsiasi natura e colore, sono sempre un pericolo per la democrazia.



Trump non c’entra niente con i presidenti repubblicani che lo hanno preceduto, non è a loro che va paragonato. Da mercoledì ha invece confermato la sua vera identità: Trump è Al Capone che diventa presidente, incarna quel profilo da criminale famoso che esiste da sempre nell’ecosistema americano. È l’Al Capone degli Intoccabili interpretato magistralmente da Robert De Niro, che si professa con un sorriso “uomo del popolo” perché garantisce un servizio illegale che tutti vogliono, l’alcol, nel pieno del Proibizionismo.

Adesso che il gangster si è rivelato tale, non ci sono più alibi accettabili per giustificarlo. È ora di spazzarli via uno per uno.



1. L’alibi delle elezioni “rubate”. Ho seguito quattro campagne presidenziali, inclusa quella che nel 2000 si inceppò nel riconteggio delle schede della Florida: quella del 2020 è stata probabilmente l’elezione più pulita, fluida e meglio organizzata degli ultimi decenni. Lo è stata anche perché tutti sapevano che Trump l’avrebbe contestata e ogni Stato, inclusi quelli a guida repubblicana, ha fatto il meglio per garantire trasparenza. Nessuno ha rubato la vittoria ai repubblicani, Trump ha perso e le varie teorie della cospirazione che chiamano in causa mezzo mondo sono assolute fandonie. Non è più accettabile accennare a brogli e macchinazioni, non c’è niente di fondato nelle parole che Trump ripete sulla sua presunta “vittoria”.

2.  L’alibi del consenso. Trump ha raccolto un gran numero di voti, ma ha perso le elezioni, sia come voto popolare, sia in termini di grandi elettori. Ha senz’altro un grande seguito, ma ha perso nettamente ed è uno dei pochissimi presidenti che hanno fatto un solo mandato. È un loser, direbbero gli americani. Anche Al Capone aveva un grande consenso a Chicago, prima di venir arrestato per evasione fiscale (un destino che presto potrebbe toccare anche a Trump).

3. L’alibi dei successi economici. Barack Obama ereditò da George W. Bush un’America in ginocchio per la crisi dei mutui subprime. Trump ha ereditato da Obama un’economia sana e forte e non ha fatto niente di speciale per rafforzarla. Tagliare le tasse e mettere dazi è una politica di cortissimo respiro. Ronald Reagan rivoluzionò l’economia dopo aver ereditato il disastro di Jimmy Carter (un altro presidente da un solo mandato). Bill Clinton costruì sulla propria ricetta economica il successo dell’America degli anni Novanta. Trump lascia un Paese dove le diseguaglianze non sono mai state così forti, con la classe media in ginocchio per il Covid che la sua amministrazione ha gestito peggio di quasi tutto il resto del mondo. Borsa e Silicon Valley prosperano, ma non starebbero certo molto peggio se oggi finisse il primo mandato di Hillary Clinton. Trump è stato un miope protezionista che non si lascia alle spalle alcuna coerente politica di crescita economica.

4. L’alibi della cultura. Trump come paladino della famiglia tradizionale, Trump come freno alla deriva del politically correct, Trump che sceglie i giudici giusti per la Corte Suprema, Trump che in fondo “ha reagito alle violenze della sinistra, di Black Lives Matter, di Antifa”. È un’altra gigantesca balla. Reagan, Bush padre e George W. Bush (che è stato durissimo nel criticare Trump in questi giorni) sono stati tutti presidenti repubblicani con una precisa proposta culturale e con un mondo pensante di riferimento. Trump ha agito sempre e solo sulla scia dell’interesse personale del momento e non ha arginato, bensì provocato, la tensione e lo scontro culturale che l’America vive in questi anni. Gli ammiccamenti e il saluto “we love you” con cui si è rivolto ai “patrioti” che avevano appena assaltato il Capitol, uniti alla scelta di non condannare mai le violenze del mondo suprematista bianco, ne fanno il mandante dell’insurrezione di Washington e il principale responsabile di questi anni di disastro culturale americano.

Al Capone non avrebbe saputo fare meglio, se solo avesse deciso di conquistare non solo Chicago, ma tutta l’America. Il suo erede lo ha superato.