I luoghi comuni sono duri ad essere rimossi, e puntualmente riemergono, specialmente quando rinforzano la componente culturale dominante e riempiono il vuoto che questa oramai detiene, costituendo una comoda scappatoia.
Uno dei luoghi comuni ricorrenti è costituito dal considerare il movimento di Comunione e liberazione fondato e sviluppato da don Giussani – la più consistente iniziativa educativo-culturale e politico-operativa nata dal panorama cattolico della seconda metà del Novecento – come il punto limite di un’abiezione di fondo, nella quale è precipitato quanto di peggio potesse esistere nella Chiesa: dallo spadroneggiare senza complessi in politica all’occupare spazi nel sottogoverno, dall’entrare nel mondo degli affari approfittando delle pubbliche relazioni con il gotha democristiano e vaticano, fino a farsi strada nei media, nel mondo dell’informazione e dell’editoria.
Ciò che colpisce, nella ricostruzione ossessiva di Cl come paradigma del “peggio”, non è tanto il ritorno continuo delle accuse di spregiudicatezza politica e di commistione tra spirito evangelico ed interessi di lobby. Non è nemmeno l’uso tossico di alcune “sentenze sommerse”, pronte a spaccare la Chiesa tra una parte conservatrice, nel caso dell’articolo di Ettore Boffano, rappresentata dal cardinale Ruini, e una parte progressista rappresentata dalla “scelta religiosa” dell’Azione Cattolica del compianto Gustavo Bachelet. Ciò che dà sinceramente fastidio è la capacità di omettere degli eventi macroscopici, per il semplice fatto che non sono funzionali alla narrazione e quindi vengono allontanati come fattori di disturbo.
Un primo esempio: Comunione e liberazione abbracciò (sapendo di perderla) la crociata della Cei sui referendum dell’aborto e del divorzio: l’unica a farlo tra tutte le associazioni cattoliche. I ciellini faranno come i gesuiti fanno da sempre: fedeltà alla Chiesa ed ai suoi comandi. Si può certamente definire questo “il peggio del mondo cattolico” senza chiamare in causa l’intera Cei e lo stesso Paolo VI, che quella lotta appoggiò con tutte le sue forze? L’episodio, per quanto macroscopico, non viene citato perché inquinerebbe la narrazione e si imbatterebbe in una condanna molto più grave verso l’intera Chiesa di quegli anni e di quel pontificato: una condanna che l’estensore non può pronunciare, quindi omette l’intero episodio e non ne parla.
Un secondo esempio: lo stesso dialogo confidenziale tra Papa Wojtyła e il card. Ballestrero del 13 aprile 1980 e la risposta alla domanda a Papa Woytjla che avendogli chiesto le ragioni della sua ostilità verso Cl si sente rispondere: “Santità, lo capirà quando si sarà accorto che è la parte peggiore del cattolicesimo italiano”. Credo che, nell’universo di riservatezza che caratterizza il mondo cattolico, il dissenso del cardinale Ballestrero non sia stato l’unico segnale. Non mi stupirei se, un giorno, si venisse a scoprire che anche il cardinale Carlo Maria Martini, assieme a molti altri, nutriva un giudizio altrettanto sprezzante nei confronti di Cl.
Ma, anche qui, si prende nota dell’episodio e non ci si chiede perché il Santo Padre non abbia tenuto in minima considerazione il parere del potente cardinale. Anzi, abbia fatto esattamente l’opposto, riconoscendo e benedicendo il movimento di don Giussani, sostenendolo platealmente in ogni forma (andrà di persona al Meeting del 1982).
Così come ci si guarda bene dal chiedersi perché un tale entusiastico consenso verso Cl prosegue anche nel suo successore, quel Papa Benedetto XVI che, ancora cardinale, traccerà una vera e propria laudatio di don Giussani il giorno dei suoi funerali, nel duomo di Milano, il 25 febbraio del 2005. Anche qui, la condanna a rappresentare il “peggio” si imbatterebbe in scogli enormi: meglio omettere e non prendere in considerazione.
Un terzo esempio che è poi il casus belli dell’intero articolo: l’invito fatto a Mario Draghi dal presidente della fondazione Meeting Bernard Scholz di venire a inaugurare l’edizione di quest’anno, segnalato non come capacità di stare nel cuore dei fatti, percependo con attenzione quanto accade nel Paese, ma semplicemente come esempio di abilità politica. Perché questo dovrebbe rappresentare il “peggio”? Se non perché un movimento così sulfureo, non può muoversi che per strategie di convenienza e di opportunismo e quindi è da condannare sempre e comunque?
Si tratta di un vero e proprio pregiudizio alimentato da una ricostruzione storica di parte, che compie il più grosso errore che uno storico possa commettere: quello di scansare i fatti che danno fastidio. È vero ciò che dice Edgar Morin, citato da Carrón e ripreso da Fausto Bertinotti: “Ho compreso che fonte di errori e di illusioni è l’occultare i fatti che ci disturbano, anestetizzarli ed eliminarli dalla nostra mente”. Ed è quello che gli storici troppo spesso fanno, fingendo di non saperlo.
L’estensore dovrebbe inserire questi fatti e spiegarli. Ma è chiaro: come poter spiegare la benedizione di due pontefici, il primo dei quali è stato fatto santo e il secondo è uno dei giganti del pensiero teologico della seconda metà del Novecento, quando si vuole sostenere la tesi di una squalifica radicale? Molto più comodo e semplice attaccare Formigoni, il “celeste” sodale dell’infido “azzurro” Berlusconi (successore in questo dell’infido Andreotti). Rieletto per quattro volte alla presidenza della Regione Lombardia. A scorrere la frase-sentenza: “Comunione e Liberazione è stata una vera e propria ‘testa di cuoio’ del collateralismo religioso a favore del ventennio berlusconiano” c’è da rabbrividire. Il ventennio berlusconiano (che non c’è mai stato, ma fa così comodo pensarlo!) e le “teste di cuoio”, che riecheggiano la narrazione del proclama brigatista fatto trovare alla stampa dopo il sequestro Moro, lasciano basiti tanto è superficiale una simile protervia.
E se provassimo a pensare, almeno una volta, che il successo di Cl sia stato invece deciso da una volontà di essere nel mondo e di non limitarsi a giocare al ping-pong nelle sale parrocchiali ed a partecipare alle adunate auto-referenziali ed auto-celebrative in Piazza San Pietro? E se provassimo a pensare che il successo di Cl non sia stato deciso da appoggi influenti, ma da un desiderio, tenace e illimitato, di verità e di letizia di vita – così presente nella società degli anni della ricostruzione – e che si ridesta ogni volta che appare qualcuno o qualcosa che torna a mostrarlo ed a renderlo reale? E se provassimo a pensare che un tale desiderio è tanto più potente quanto più il disincanto regna e la cocaina dilaga? E se provassimo a credere che un tale bisogno è così potente che si finisce per far parte di un movimento anche quando non ci si guadagna nulla ma ci si rimette qualcosa, e quindi si è “disposti a perdere” perché l’impresa vale la fatica dell’impegno?
Comunione e liberazione ha scelto la strada rischiosa di essere “compagna di strada”, di stare nel mondo, inteso non solo come “mondo vitale” della vita quotidiana, ma anche come polis, cioè come progetto di vita comune sul quale spendersi ed operare. Un percorso certamente accidentato, ma indispensabile per chi voglia essere nel mondo senza accodarsi privatamente ai cortei in transito, ma cercando di arricchire il dibattito con il peso di una sensibilità e di una storia che appartengono all’esperienza di popolo del quale si sente parte.
Sono codici che, prima ancora di essere politici, sono certamente esistenziali. Ma questi sono alla base di ogni agire per la città non strumentalmente volto alla mera conquista del potere. Questi codici costituiscono il cuore del qui ed ora: perché vivere ed edificare, costruire opere, coltivare il progetto di una “vita in abbondanza”, sono speranze reali e tutta la pedagogia di don Giussani insegna a prenderle sul serio facendole crescere, anche e soprattutto nell’universo della città.
È veramente questo “il peggio del cattolicesimo”? Non direi: al contrario è stata la prima reale ed autentica “Chiesa in uscita”.