Nel marzo del 1978, a causa dell’invasione israeliana del sud del Libano, il Consiglio di sicurezza dell’Onu con la Risoluzione n. 425 istituì la missione Unifil (forza di interdizione delle Nazioni Unite in Libano). Compito della missione era quello di monitorare il ritiro delle truppe israeliane dal Libano e ristabilire la sovranità nazionale e la sicurezza internazionale in quei territori. Le vicende belliche successive tra Libano e Israele hanno portato l’Onu a rinnovare ogni semestre la risoluzione fino al luglio del 2006, quando vi fu un attacco di Hezbollah al villaggio israeliano di Zar’it a sud della Blue Line che definisce il confine tra Libano e Israele.
La scaramuccia provocò la morte di sei soldati dell’esercito ebraico (Idf) e la cattura di altri due. La mancata restituzione degli ostaggi provocò l’apertura delle ostilità con pesanti combattimenti nel sud del Libano. L’obiettivo dichiarato era l’annientamento delle milizie Hezbollah. Durante le ostilità i contingenti di caschi blu indiano e ghanese rimasero nelle postazioni, ma dal 24 luglio 2006 vennero abbandonati i quattro punti di osservazione previsti per la missione. Un’intensa attività diplomatica portò alla tregua, che arrivò il 14 agosto 2006 in attuazione della Risoluzione Onu n. 1701 che rinnovò la missione Unifil denominandola Leonte.
Alla nuova missione vennero affidati molteplici e dettagliati compiti, che oltre al ritiro di Israele prevedevano il ristabilimento della sicurezza e del controllo del territorio sotto l’esercito libanese, lo smantellamento di tutte le milizie armate e delle armi non appartenenti all’esercito libanese. Era prevista anche la reazione con la forza ai tentativi di impedire l’assolvimento dei compiti dei caschi blu.
A distanza di 18 anni possiamo dire con certezza che ben poco della risoluzione è stato attuato. Le armi sono proliferate, e le milizie armate, diventate sempre più potenti a discapito dell’esercito regolare libanese, hanno preso il controllo del territorio, come dimostrano i copiosi lanci di missili che bersagliano tutt’ora il nord di Israele.
Ieri, mentre le operazioni di terra stavano proseguendo in modo tutto sommato limitato, una torre di osservazione dell’Unifil, al confine tra Libano e Israele, è stata colpita da una cannonata che l’ha abbattuta. I due osservatori presenti, militari indonesiani, sono caduti e sono stati feriti in maniera leggera. Preso a cannonate anche un bunker del contingente italiano, senza conseguenze per i caschi blu presenti. Sorte simile è toccata alle telecamere del punto di osservazione italiano, che sono state accecate con tiri di armi leggere. Nessuno è risultato ferito. Sono stati colpiti anche i sistemi di trasmissione dati. Dopo l’operazione Tel Aviv ha raccomandato, o forse intimato, ai caschi blu di stare al riparo e di arretrare le posizioni di 5 km per non entrare nel raggio di fuoco dovuto agli attacchi ad Hezbollah.
Il motivo è semplice: l’esercito attaccante non vuole testimoni durante le operazioni. Ma in questo momento Israele è nella condizione di aver bisogno di tutto l’appoggio possibile dei suoi alleati. Alleati che sono sottoposti a forte stress da parte delle opinioni pubbliche, nelle quali deflagrano proteste anti-israeliane. Uscirà indenne Israele da questo ulteriore azzardo?
D’altro canto anche l’Onu è in forte difficoltà, perché il Consiglio di sicurezza, con le sue regole derivate direttamente dagli accordi di Yalta, è dilaniato dai veti incrociati e la sua autorevolezza è ai minimi storici, se possibile ancor più bassi di quando i caschi blu furono usati come scudi umani nella guerra dell’ex Jugoslavia. Inoltre la presidenza Guterres è delegittimata dalle diverse infiltrazioni di uomini di Hamas tra le file dell’agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa). E potrà essere di poco aiuto nella soluzione della crisi.
Anche l’Iran annaspa e la notizia più importante è che gli ayatollah stanno cercando disperatamente di portare dalla loro parte i Paesi del Golfo, ma visto il ristagno dei prezzi del petrolio non ci stanno riuscendo. Un contesto sempre più complicato che non permette di avventurarsi in previsioni positive.
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