Netanyahu non sente ragioni: l’attacco a Rafah si deve fare. Anche se i suoi stessi collaboratori gli ripetono che quello che tutto il mondo teme, e cioè un disastro umanitario per lo sfollamento di più di un milione di persone, è lo scenario più probabile. E anche se l’Egitto sta preparando un campo per 100mila persone e gli israeliani ne prevederebbero altri 15 da 25mila tende, ammassare così tanta gente nella zona significherebbe trasformarla in un girone dantesco: dell’inferno, naturalmente. Con conseguenze, osserva Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia, collaboratore di Avvenire, che potrebbero essere catastrofiche a livello politico, simili a quelle della Nakba del 1948, quando l’esodo dei palestinesi mise a soqquadro tutto il Medio Oriente. Allora cambiarono molti regimi accusati di non aver fatto abbastanza per sostenere un popolo costretto a lasciare la sua terra.
L’Egitto ufficialmente non vuole accogliere gli sfollati palestinesi che potrebbero arrivare in seguito a un attacco a Rafah. Però sta approntando un’area per ospitarne almeno una parte. L’esodo è ormai inevitabile?
L’area che sta preparando l’Egitto è minima: 13 chilometri quadrati in cui potrebbero arrivare 100mila persone. Israele ha inizialmente attaccato Gaza City dicendo che era il centro operativo di Hamas e che lì si trovavano gli ostaggi. Per questo ha fatto sfollare la gente verso sud. Poi ha attaccato Khan Yunis spingendo sempre a sud una parte della popolazione. Tappa dopo tappa gli israeliani hanno concentrato l’intera popolazione della Striscia nella parte più meridionale. Vogliono distruggere Hamas e ad ogni tappa dicono: “Non sono qui ma più giù”. Si è ripetuto sempre lo stesso copione: ordini di sgombero, attacchi, assedi e poi la dichiarazione che i miliziani che cercano sono in una zona ancora più meridionale. Ora più giù di Rafah non c’è niente.
Anche gli israeliani pensano a decine di migliaia di tende per ospitare i profughi. Basteranno?
Con grande dispiacere dei coloni, che avevano messo gli occhi su quell’area, stanno costruendo una struttura lungo la spiaggia, all’interno della Striscia di Gaza. L’Egitto, invece, sta realizzando la sua a ridosso del confine, in territorio egiziano, all’altezza del valico di Kerem Shalom, un’area recintata con muri alti 7 metri per accogliere quelli che fuggiranno. Se ci andranno 100mila persone si avrà una densità abitativa superiore ancora a quella di Gaza, che è la più alta al mondo: siamo a oltre 7.500 persone per chilometro quadrato.
Qual è il centro del problema?
L’Egitto è in imbarazzo totale: da una parte non vuole incentivare un esodo di massa, dall’altra se tiene chiuso il valico di Rafah viene accusato di costringere le persone a morire, perché non passano gli aiuti umanitari. Un pasticcio. Una situazione che prefigurerebbe la riedizione della Nakba. Israele a livello mediatico addossa la responsabilità all’Egitto: i palestinesi potrebbero salvarsi fuggendo. In pratica vorrebbero lo sfollamento volontario. Ma se Il Cairo non apre la frontiera non possono farlo.
L’Egitto allora cosa può fare?
Secondo il trattato di Camp David del 1979 la zona di cui stiamo parlando dovrebbe essere smilitarizzata. Lo stesso ingresso delle truppe israeliane a Rafah sarebbe in contrasto con quegli accordi. È vero che gli egiziani a suo tempo avevano chiesto a Israele di entrare per operazioni contro lo Stato islamico e formazioni terroristiche, sgomberando la parte egiziana di Rafah, ma nello spirito degli accordi quell’area non prevedeva la presenza di mezzi militari.
Il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha detto che intende coordinarsi con l’Egitto.
Sì, però ha detto anche che l’operazione a Rafah è necessaria.
Facciamo i conti: 100mila persone nell’area recintata in Egitto e altri 15 siti da 25mila tende che ospitano quattro, cinque, forse dieci persone l’una nelle strutture di cui parla Israele. Al di là dei numeri sulla carta un’operazione imponente, come è possibile organizzarla?
Non credo che gli israeliani si pongano questi problemi, le persone che andranno a finire lì dovranno arrangiarsi. Per questo tutti mettono in guardia da una possibilità del genere, anche il segretario dell’ONU Guterres. Sarebbe il finimondo. Il capo del Mossad, quello dello Shin Bet, il capo di stato maggiore israeliano Herzl Halevi, come tecnici, hanno spiegato a Netanyahu le conseguenze di un’azione a Rafah. Ma lui non ne vuole sapere. Sembra la sua ultima carta da giocare.
Secondo qualcuno l’Egitto ufficialmente dice di no, ma poi potrebbe cedere e accogliere gli sfollati. Una eventualità da prendere in considerazione?
Al Sisi potrebbe sempre dire che è stato costretto ad accogliere i palestinesi. Un paio di mesi fa l’Unione Europea ha promesso la cancellazione del debito estero egiziano se avesse accolto un milione di profughi. Nasrallah (leader di Hezbollah in Libano) nel suo ultimo discorso ha detto che i piani di sfollamento non riguardano solo Gaza: Israele vorrebbe mandare i palestinesi della Striscia in Egitto, quelli della Cisgiordania in Giordania e in Libano tutta la popolazione arabo-israeliana.
Qual è il vero pericolo di tutta questa situazione?
L’esodo anche della sola Gaza potrebbe provocare un clima simile a quello successivo al 1948. Allora tutti i governi arabi subirono le conseguenze della Nakba, ci furono rovesciamenti di regimi. A lungo andare potrebbe succedere anche questa volta.
Dunque anche se approntassero l’area egiziana e quella prevista da Israele, lo sfollamento sarebbe comunque un disastro di proporzioni inimmaginabili.
Sì. Soprattutto nel momento in cui l’UNRWA, l’agenzia preposta all’assistenza dei palestinesi, non viene più sostenuta da molti Paesi occidentali per il caso della partecipazione di alcuni funzionari all’attacco del 7 ottobre, anche se alcune nazioni ci stanno ripensando perché le accuse formulate poi non si sono rivelate proprio reali. I palestinesi verrebbero abbandonati in queste aree senza più nessuno che li possa assistere. Potrebbe scattare una sorta di gara di solidarietà da parte dei Paesi mediorientali, ognuno dei quali si prenderebbe una quota di sfollati, facendo però sostanzialmente un favore a Israele.
(Paolo Rossetti)
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