Comunque la si osservi, alla fine per porre termine alla guerra di Gaza occorrerà una soluzione politica. Non sarà il tanto discusso attacco a Rafah, annunciato dal governo israeliano, nonostante l’opposizione anche di USA e UE, a portare la pace. Anche perché la fattibilità di questo piano è messa in dubbio pure dai militari israeliani, che sanno bene cosa potrebbe voler dire in termine di perdite umane, anche per se stessi, andare a stanare Hamas in una zona in cui si sono concentrate 1,3 milioni di persone e in cui l’organizzazione palestinese avrebbe ancora in uso parte di quei tunnel che altrove nella Striscia sono stati distrutti.
Per questo, spiega Giuseppe Morabito, generale dell’esercito con al suo attivo diverse missioni all’estero, fondatore dell’IGSDA e membro del Collegio dei direttori della Nato Defense College Foundation, fermo restando che la decisione sarà comunque politica, militarmente sarebbe almeno il caso di sospendere l’operazione prendendo tempo per valutarla attentamente, magari optando per interventi più mirati.
Anche l’obiettivo dichiarato da Netanyahu di eliminare Hamas in realtà è difficilmente raggiungibile: Israele può guadagnarsi un periodo di relativa calma, ma prima o poi qualche cellula di Hamas tornerebbe in azione o l’organizzazione si ricostituirà con un altro nome ma con lo stesso obiettivo e odio per gli israeliani.
Generale, come giudica l’idea di un’operazione di terra a Rafah dal punto di vista militare? Al di là delle pressioni internazionali perché non venga avviata, anche Israele, almeno i militari, sanno che è difficile da realizzare.
Più passa il tempo, più i palestinesi si ammassano nell’area in cui è prevista questa operazione. Più sono concentrati e più possono fungere da scudo umano per i miliziani di Hamas, che in questo modo riescono a nascondersi meglio e nello stesso tempo rendono molto più difficile agli israeliani dare seguito a un’azione selettiva nei confronti dei terroristi stessi. In questo contesto aumenta il pericolo di coinvolgere i civili nelle operazioni di neutralizzazione del nemico.
Mettere in sicurezza i civili in questa situazione diventa un’impresa titanica: meglio soprassedere?
Dal punto di vista politico è comprensibile la richiesta di un cessate il fuoco, proprio per evitare danni collaterali. La decisione comunque è politica, i militari eseguono quanto è stato definito dal governo.
Da militare che consiglio darebbe a un capo di governo che le chiede un parere su questa operazione?
Più c’è indeterminatezza nell’ambiente in cui si deve agire e più sono possibili danni anche per le proprie forze. Non è facile decidere; in ogni caso, tenendo conto pure della pressione internazionale, sarebbe meglio almeno sospendere le operazioni per vedere chi è rimasto nell’area e procedere eventualmente con un intervento selettivo. Il problema grosso è che i terroristi di Hamas si confondono con la popolazione, potrebbero trovare riparo insieme ai rifugiati e poi ritornare attivi in un secondo tempo.
Anche sulla stampa israeliana è trapelata qualche perplessità da parte degli stessi militari in vista di un intervento a Rafah. Sono i primi a rendersi conto della pericolosità dell’operazione?
L’IDF sa che più è complessa l’operazione e più si rischia di avere delle perdite anche da parte israeliana: individuare il nemico all’interno di una massa di persone è molto più difficile che in campo aperto.
Si parlava anche di un piano israeliano, in questo caso accettato anche dagli americani, per un’azione a Rafah senza bombardamenti e con un ricorso limitato all’artiglieria. Non se n’è fatto niente, ma è un’idea che risponde militarmente a queste perplessità?
Durante i bombardamenti i terroristi si rifugiano nei tunnel, mentre la popolazione rimane esposta. Israele dove è riuscito a prendere il controllo del territorio ha distrutto gran parte dei cunicoli realizzati nella Striscia, ma nella zona di Rafah ce ne possono essere ancora, potenzialmente utilizzabili da Hamas. Di certo non li usano per dare riparo ai civili. I bunker li distruggi quando hai acquisito il controllo del territorio soprastante o con bombe che penetrano nel terreno in profondità.
L’idea di evacuare 1,3 milioni di civili spostandoli in una tendopoli per toglierli il più possibile dal teatro dei combattimenti ha senso? La loro ricollocazione sarebbe anche questa un’operazione troppo complicata?
I terroristi di Hamas tenterebbero di “esfiltrarsi” unendosi alla massa dei rifugiati. L’IDF e i servizi di Tel Aviv lo sanno bene, Avrebbe senso da un punto di vista umanitario ma per quanto attende la sicurezza di Israele in futuro potrebbe rivelarsi un problema.
Alla fine, questa operazione la faranno o no?
Secondo me, almeno per il momento, non la faranno, prenderanno tempo per cercare di ragionare bene sull’utilità.
Negli ultimi giorni l’esercito israeliano è intervenuto nel Nord di Gaza perché all’ospedale al Shifa si era ricostituita una cellula dell’organizzazione palestinese. Alla luce di questa vicenda e delle considerazioni sull’intervento a Rafah, l’obiettivo che Netanyahu si è dato di distruggere Hamas è realistico?
L’obiettivo è fare in modo che i terroristi per un certo periodo di tempo non siano più un problema per Israele: più terroristi saranno neutralizzati e più il Paese potrà godere di un periodo di relativa tranquillità o correre quantomeno un rischio minore. Sarà impossibile, però, cancellare definitivamente Hamas: qualche cellula si riattiverà sicuramente. I mavericks, gli attentatori solitari in grado di promuovere azioni terroristiche isolate, ci saranno lo stesso in futuro.
Le stesse analisi dell’intelligence americana dicono che per neutralizzare Hamas in realtà ci vorrebbero anni. Nonostante dichiarazioni di senso contrario, anche gli israeliani lo sanno?
Ci vorrebbero anni di operazioni di polizia e anche in questo caso non è escluso che poi qualcuno non ricostituisca Hamas, considerando l’odio atavico nei confronti degli israeliani.
La verità, quindi, è che la soluzione può essere solo politica?
Certo, politica. Con l’intervento militare per quanto accurato non si risolverebbe per sempre.
Il Wall Street Journal ha riproposto il piano finanziato da Paesi del Golfo di un governo palestinese per Gaza senza Hamas. Potrebbe essere questa la strada per arrivare a un cessate il fuoco?
Può essere una base di partenza per arrivare a una soluzione che metta a tacere le armi. I terroristi di Hamas faranno di tutto per impedirlo.
(Paolo Rossetti)
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