Rafah sotto attacco. La cittadina palestinese nel sud della Striscia di Gaza è già da tempo nel mirino dell’esercito israeliano: nelle ultime ore ci sono state decine di morti e attacchi continui. Ma ora Netanyahu vuole dare il via a un’operazione di terra come quelle che hanno raso al suolo il resto della Striscia. Significa morte, distruzione e due milioni di sfollati che hanno dovuto lasciare le loro case. E che ora si sono concentrati proprio lì, intorno a Rafah. Il governo parla di creare “corridoi” per metterli al riparo dalle conseguenze dell’azione militare, ma queste settimane di guerra hanno dimostrato che si tratta di una pia illusione.
Per questo, racconta Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di diplomazia culturale e geopolitica del Medio Oriente, cresce la tensione fra Egitto e Israele: Il Cairo è preoccupato che i palestinesi, per sfuggire agli attacchi, sfondino il confine riversandosi nel Sinai. E per questo gli egiziani hanno messo in guardia Tel Aviv, facendo presente che la conseguenza potrebbe essere l’annullamento del trattato di pace fra i due Paesi.
Come sempre, la possibilità di uscire da questa situazione è in mano agli USA. Solo loro possono far pressione su Israele per costringere l’esecutivo a cambiare idea sull’azione a Rafah, ma devono essere convincenti, minacciare di togliere le forniture di armi a Tel Aviv. Altrimenti Netanyahu, anche per tenere compatto il suo governo, continuerà sulla sua linea. Per ora Biden si è limitato a dire che Israele non può attaccare nel Sud della Striscia senza avere un piano per i civili.
Quali sono i pericoli che si corrono con un’azione militare in grande stile di Israele a Rafah?
Quello che è successo dopo il 7 ottobre ha messo in discussione i rapporti di Israele in tutto il mondo. Biden stesso ha dichiarato che la risposta di Tel Aviv è over the top ed è la critica più forte che ha rivolto all’amministrazione Netanyahu. La pensano così anche molti Paesi europei. L’Egitto è la nazione più direttamente coinvolta da questa reazione, per il rischio che i palestinesi, spinti sempre più a sud, non trovino altra soluzione che sfondare il confine e mettersi in salvo nel Sinai. Fin dall’inizio delle operazioni militari si era capito che si sarebbe arrivati a questa situazione. E il momento è arrivato: ci sono due milioni di palestinesi a Rafah e non hanno altra via di scampo, in caso di inizio dell’azione militare, se non quella di rifugiarsi in Egitto.
Netanyahu dice che verranno individuati dei corridoi per mettere in sicurezza gli sfollati. Ma ci sono zone dove i palestinesi possono evitare di trovarsi in mezzo ai combattimenti?
Anche quando avevano detto che ci sarebbero stati corridoi per passare dal nord al sud poi non si sono rivelati sicuri. E infatti non hanno offerto ai palestinesi nessuna via di scampo. Non c’è in tutta Gaza un posto che possa dirsi sicuro.
L’Egitto ha spostato l’esercito verso la frontiera con la Striscia, ma di fronte a due milioni di persone in arrivo cosa potrebbe fare?
Per questo Il Cairo fa riferimento a possibili conseguenze politiche come la fine dell’accordo di pace. Israele metterebbe l’Egitto in una situazione in cui o deve sparare contro i palestinesi che scappano finendo per apparire il cattivo della vicenda, o deve aprire le frontiere per lasciare passare queste persone con la scusa che sarebbe un ingresso temporaneo. Ma sappiamo, anche in virtù di dichiarazioni dell’amministrazione israeliana, che questa difficilmente sarebbe una soluzione temporanea.
Quindi?
Nel momento in cui i palestinesi usciranno da Gaza non ci rimetteranno più piede. Lo sanno pure loro: non vogliono andare in Egitto, ma se posti di fronte alla scelta tra la vita e la morte, potrebbero decidere di entrarci. Ed è chiaro che davanti a una fiumana di persone, per quanti carri armati e forze militari si possono schierare al confine, sarà molto difficile contenere questo sfondamento.
Dire che il trattato di pace fra i due Paesi potrebbe non valere più significa mettere in conto anche una possibile azione militare contro Israele?
No. Non credo che l’Egitto abbia interesse o voglia di fare una guerra con Israele. L’accordo di pace fino a questo punto ha permesso un’ottima collaborazione tra i due Stati. Uno dei motivi per cui Il Cairo non vuole un ingresso di massa dei palestinesi è la paura che, una volta protratta la loro permanenza, comincino a partire attacchi dal suolo egiziano che comportino una reazione israeliana, che a questo punto potrebbe richiedere anche una risposta militare egiziana.
Il mondo arabo, invece, come potrebbe reagire allo sconfinamento?
Credo che neanche il mondo arabo voglia una guerra con Israele. Risponderanno con tutti i mezzi di pressione diplomatica a disposizione. Mi auguro che non sia solo il mondo arabo a percepire lo spostamento di due milioni di persone come un problema. Una eventualità del genere racchiude in sé tutti gli elementi di condanna per cui Israele è stato trascinato dal Sudafrica davanti alla Corte dell’Aja: rientra nei crimini di guerra.
Gli unici che hanno il potere di far cambiare idea agli israeliani sono gli americani, lo faranno?
Spero che non si arrivi allo sfollamento dei palestinesi, che gli USA si muovano prima. Dovrebbero fare già da ora la faccia dura, non con dichiarazioni di circostanza come quelle di Biden, ma fermando o quantomeno limitando l’apporto di armi con cui gli israeliani stanno portando avanti questa campagna.
Gli israeliani puntano a terminare il loro programma di neutralizzazione di Hamas e quindi vogliono intervenire a Rafah, ma se la comunità internazionale riuscisse a dire basta, l’impossibilità di portare a compimento il piano potrebbe significare l’implosione del governo?
Credo che la reazione spropositata dell’amministrazione Netanyahu sia stata tale proprio per evitare contraccolpi interni: più dura la guerra, più il primo ministro allontana da sé il rischio di venire processato per il fallimento del 7 ottobre e di trovarsi invischiato in tutte le cause e i processi di cui è già minacciato. L’obiettivo degli israeliani era abbastanza chiaro fin dall’inizio: liberare Gaza dai palestinesi e allontanarli il più possibile da Israele. È quello che hanno fatto finora: inutile prenderci in giro dicendo che si tratta solo di neutralizzare Hamas. Secondo molti analisti, Hamas non è stata attaccata in modo tale da annullarla. Il solo fatto che Israele non sia riuscito a liberare militarmente neanche un ostaggio dimostra che Hamas è stata colpita marginalmente.
Tra un po’, Netanyahu dovrà spiegare al Paese che Hamas non è stata sconfitta?
Non solo non è stata sconfitta, ma probabilmente questa reazione militare spropositata porterà alla moltiplicazione dei suoi effettivi. Con tutte le persone che hanno perso figli, mogli e parenti, credo che Hamas non abbia perso la sua battaglia ideologica.
(Paolo Rossetti)
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