Dal 1° gennaio 2022 latte e formaggi potrebbero non essere più Made in Italy, ma arrivare da produzioni con origine ignota. È l’effetto che scatterà sulle nostre tavole se non verrà prorogato il decreto, in scadenza il 31 dicembre di quest’anno, che dispone l’obbligo di etichettatura sull’origine dei prodotti lattiero-caseari.



A lanciare l’allarme è Coldiretti: “Si tratta – ha dichiarato il presidente Ettore Prandini – di un passo indietro pericolosissimo rispetto a un percorso di trasparenza che nel corso degli anni ha portato indiscussi benefici ai cittadini consumatori e alle imprese della filiera agroalimentare che hanno puntato sul 100% Made in Italy”. In caso di mancata proroga i consumatori italiani potrebbero incorrere spesso nell’acquisto di prodotti “scadenti, per i quali si utilizzano materie prime provenienti da paesi dove non sono in vigore le norme stringenti che devono invece rispettare gli agricoltori italiani”.



Che fare? “Semplice – suggerisce Paolo De Castro, coordinatore S&D alla commissione Agricoltura del Parlamento europeo e già ministro delle Politiche agricole dal 1998 al 2000 –: il governo deve prorogare al più presto questa norma, che finora ha funzionato bene. Il tema dell’etichettatura è fondamentale, è una battaglia storica e dobbiamo continuare a sostenerla con le norme nazionali e, soprattutto, con quelle europee in arrivo”.

Coldiretti ha lanciato l’allarme sul fatto che il 31 dicembre del 2021 scadrà il decreto che dispone l’obbligo di etichettatura sull’origine di latte e formaggi. Perché questa deregulation fa così paura?



Non è una questione che faccia paura, semplicemente con queste norme nazionali sull’etichettatura d’origine evitiamo che ci possano essere delle usurpazioni di prodotti Made in Italy, che verrebbero perpetrate con prodotti agricoli di minore qualità provenienti da altri paesi. È una norma elementare di trasparenza, non è una deregulation, semmai una mancanza di tracciabilità.

Dal 1° gennaio che cosa potrebbe succedere? Cosa rischiano i consumatori?

Se non viene confermata questa norma, che esiste per il latte alimentare ma non per i suoi derivati, noi rischiamo, per esempio, di acquistare e consumare uno yogurt prodotto con latte in polvere proveniente da altri paesi del mondo. Oppure che sulle nostre tavole possa arrivare una confezione di conserva di pomodoro cinese spacciata per pomodoro italiano. Insomma, il consumatore rischia di essere preso in giro e tratto in inganno con prodotti senza origine certa.

Ci sono altri decreti sull’obbligo di etichettatura in scadenza, oltre a quello su latte e formaggi?

A livello nazionale ne esistono anche per il grano o per il pomodoro. A livello europeo, invece, già sono in vigore norme in tal senso per tantissimi prodotti, come la carne fresca, l’olio extravergine di oliva, l’ortofrutta… Non c’è solo l’Italia, ovviamente, ad aver integrato con norme nazionali, in attesa che l’Europa ci dia finalmente una regola uniforme. È il traguardo cui ambire, perché le singole norme nazionali, una diversa dall’altra, creano difficoltà alle imprese.

La mancata proroga potrebbe regalare ancora più campo libero al fenomeno dell’Italian sounding, che già costa all’Italia 100 miliardi di euro?

Sono due cose diverse. L’Italian sounding riguarda i prodotti a indicazione geografica che sono imitati o copiati in modo improprio da altri paesi, come nei casi del Parmesan o del Prosek. In Europa ci sono norme che ci tutelano da questo fenomeno, fuori dalla Ue invece no, quindi è fondamentale combattere l’Italian sounding con accordi internazionali e regole europee più severe. L’obbligo di etichettatura, invece, riguarda la trasparenza sull’origine dei prodotti nei confronti del consumatore, non c’è nessuno che copia o storpia il nome di un prodotto italiano.

Coldiretti ha invitato il governo a intervenire per proteggere aziende agricole e cittadini. Cosa dovrebbe fare?

Semplice: deve prorogare al più presto questa norma, perché appunto è in scadenza, legandola all’imminente arrivo della norma europea.

E l’Europa può dare una mano?

È assolutamente necessario mantenere le regole nazionali, che finora hanno funzionato bene, sull’etichettatura di origine e contemporaneamente, come abbiamo fatto a Bruxelles approvando in Aula, a larghissima maggioranza, il testo sul Farm to fork, far sì che venga predisposta presto una norma europea che finalmente – e dico finalmente perché l’Italia lo chiede da tantissimi anni – preveda un’etichettatura obbligatoria sull’origine delle materie prime del settore agroalimentare uguale per tutti. Spero e mi auguro che ciò possa accadere nel giro di pochi mesi.

La possibile fine dell’obbligo di etichettatura è un problema che si va ad aggiungere alla crisi economica legata all’emergenza Covid e ai bruschi aumenti delle materie prime: allevatori e produttori agricoli italiani sono in affanno? Come aiutarli?

L’emergenza da pandemia ha sostanzialmente chiuso tutto il canale Horeca, cioè la ristorazione, che fortunatamente da qualche mese è ripartita in grande spolvero, tanto che l’Italia ha incrementato l’export in quasi tutti i settori dell’agroalimentare. Detto questo, bisogna continuare a lavorare per tutelare i nostri produttori agricoli. Così possiamo sfruttare quella distintività che è il valore aggiunto del Made in Italy sui mercati internazionali.

La tracciabilità, quindi, è un asset del Made in Italy?

Certamente. Siamo un piccolo paese e la nostra peculiarità, ciò che ci permette di distinguerci da tutti gli altri, sta proprio nell’origine dei nostri formaggi, dei nostri prosciutti, dei nostri vini. Lì possiamo vincere, perché dobbiamo avere argomenti validi per far pagare un po’ di più i nostri prodotti. Altrimenti, nella competizione internazionale, se la giochiamo sui costi, perdiamo la partita di sicuro, non abbiamo le condizioni di produzione di altri paesi che su queste voci possono risparmiare qualcosa.

(Marco Biscella)

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