Se non si è potuta costruire con la benedizione dei padri fondatori europei né una politica industriale di beni strumentali (la Comunità europea del carbone e dell’acciaio), né atomica (l’Euratom), la responsabilità storica ricade tutta sulla Francia, che con De Gaulle aveva ritrovato il suo millenario ruolo imperiale che solo le sconfitte tedesche avevano infranto per ben due volte nel Novecento, ma mai culturalmente spento.



E oggi, se sul tema ben meno cruciale ma altrettanto significativo del carro armato “europeo” – in realtà franco-tedesco (con l’industria d’armamenti divisa sugli standard tecnici) – non si riesce a fare un passo innanzi, nuovamente la responsabilità è francese, che per quell’industria rifiuta di avere come partner tanto gli italiani quanto alcuni degli Stati ex comunisti, indebolendo in tal modo le stesse basi industriali di un futuro esercito europeo. E senza industria non c’è nessun esercito, così come senza una potente forza atomica supersonica di nuovo non è possibile nessun esercito europeo, tanto meno ora che il Regno Unito è entrato nel ciclo del distacco dall’Europa storica, Brexit o no Brexit.



Su questo sfondo l’intervista del presidente francese Macron all’Economist in cui si giudica decotta, senza più funzione geopolitica, la Nato, appare come una boutade, un epater les bourgeois, con quello stile da generale De Gaulle da museo delle cere, e in realtà espressione di un piazzista che vende qualche fregata e qualche metropolitana a dei compratori afferrati per i capelli mentre i venditori concorrenti sono distratti dal clamore della stampa.

Una stampa che, nel caso dell’Economist, pare svolgere un ruolo inconsueto, che nel mio modesto Guinness di abbonato dello stesso periodico da più di trent’anni non avevo mai visto delinearsi: quello dell’intervistatore che perde il suo storico “aplomb”. Sembra quasi che un’intervista simile la raffinatissima diplomazia francese erede del Conte di Talleyrand proprio non l’abbia gradita.



Si tratta più di una fuga in avanti, di una boutade da Rodomonte per fini di politica interna, mentre la burrasca delle elezioni municipali increspa il fronte interno, con la crescita delle liste dei musulmani storicamente insediati in Francia ma che vogliono far da sé su base etnica nelle elezioni, imitando le liste degli originari turchi ma cittadini belgi, che hanno conquistato, oltre i municipi, ben tre seggi nel Parlamento belga.

Cosicché la citazione dell’articolo 5 del Trattato Nato, che obbliga all’intervento degli altri sottoscrittori nel caso di un’invasione subita da uno dei componenti del patto, facendo riferimento a una Siria “di Assad” che invade la Turchia rea di invasione della Siria stessa mentre gli Usa se ne vanno dopo aver “tradito” i curdi, fa trasecolare e indigna intellettualmente. Come se non si sapesse (ma il dramma è proprio quello, che non lo si sa) che gli alawiti di Assad sono un’invenzione geniale della sopraddetta grande diplomazia francese, come l’accordo Sykes-Picot che solo il neo-califfato terroristico del Daesh ha posto in discussione con le tremende conseguenze dinanzi agli occhi di tutti.

Insomma, bene ha fatto la Germania, diplomaticamente meno raffinata ma pragmaticamente invincibile sul campo, a mettere in sordina gli umori roboanti del neo-De Gaulle. Preoccupata, la Germania, dell’ulteriore divisione intra-europea che simili rodomontate del President Synthétique possono provocare in nazioni come quella polacca, che invece agogna un’ancor più forte presenza militare nordamericana e in specie della Nato, così come tutti i già ricordati Stati ex comunisti. E come affronterebbero l’abbandono della Nato i cittadini del Land tedesco che ospita decine di migliaia di soldati americani che di fatto co-sorreggono la sempre più fiorente di altre economia teutonica? In questo quadro la mossa di Macron sembra più tesa a far dimenticare la sconfitta storica consumatasi per la Francia in Libano e in Siria, disimpegno Usa o meno.

In questo quadro stupisce la reazione russa, questa volta non all’altezza degli allievi di Primakov. Niente paura: forse il prode ministro degli Esteri Lavrov faceva un sonnellino e anche Andrey Kortunov, grande esperto del Medio Oriente, era distratto. La dichiarazione di gioia per la debolezza europea e nordamericana era ed è veramente fuori luogo, soprattutto ora che la Russia – più che la Francia – è chiamata di fatto a svolgere il ruolo – con tutti coloro che vorranno cooperare – di ricostruttore di una nuova “entente cordiale” nel Grande Medio Oriente, plesso sempre più cruciale di un heartland emerso via via nuovamente come punto archetipale del grande gioco internazionale. Il tutto in un’Italia tanto distratta dal suo decadere e dalla crescente ignoranza delle sue élite (si fa per dire).