L’idea che sta prendendo piede sarebbe questa: un attacco a Rafah, che gli israeliani hanno sempre presentato come irrinunciabile, concesso dagli americani (anche se secondo fonti ufficiose Biden avrebbe negato) in cambio del differimento di quello all’Iran a dopo le festività ebraiche. Uno “scambio” che, di fatto, nonostante il mare di dichiarazioni che chiedono la de-escalation, aumenta il pericolo di quell’allargamento del conflitto che a parole nessuno vuole, salvo poi comportarsi come se fosse inevitabile.
La verità, spiega Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia, collaboratore di Avvenire, è che la guerra è entrata in un vicolo cieco dal quale non si esce: reazione e controreazione, un attacco e subito la risposta. Se nessuno rompe questa logica, la situazione non potrà fare altro che aggravarsi.
USA e Israele d’accordo sulla “proposta indecente”? Un attacco a Rafah e poi, più avanti, quello in Iran?
L’idea sarebbe un baratto di questo tipo: rinunciare all’attacco all’Iran fino a dopo le festività ebraiche, che terminano il 29 aprile, in cambio del consenso USA a un’azione militare a Rafah. Ma è così che ci si comporta? Si rinvia un attacco per farne un altro?
Alcune fonti sostengono, invece, che l’operazione a Rafah sarebbe stata concessa dagli americani in cambio di una rinuncia a contrattaccare l’Iran. Non è così?
Un attacco non sostituisce l’altro: Israele rinuncia all’attacco immediato all’Iran, come voleva fare il gabinetto di guerra con Gantz e i capi di stato maggiore, rinviandolo a dopo la Pasqua ebraica, ma in cambio gli Stati Uniti concedono il loro beneplacito per attaccare Rafah. Quello stesso attacco di cui prima dicevano di non volerne sapere. Magari gli americani pensano di rinviarlo, per il momento, sperando che poi l’azione contro l’Iran finisca nel dimenticatoio, ma non possono non pensare che gli israeliani facciano l’uno e l’altro.
Gli USA non hanno neanche chiesto almeno un’azione contenuta nei confronti dell’Iran?
Se la risposta israeliana riguarderà l’Iran, porterà con sé tutte le complicazioni del caso, non per niente continuano a uscire rapporti che mettono in guardia dai pericoli di una decisione del genere. Sono almeno dieci anni che gli israeliani stanno studiando l’attacco all’Iran. Sanno che devono considerare tante cose: per arrivare in Iran c’è un problema di rifornimenti, inoltre l’Azerbaijan ha negato l’utilizzo delle basi israeliane che sono presenti nel Paese. Ha problemi la stessa Giordania: ha cercato di abbattere quasi tutti i missili in arrivo dall’Iran, adducendo come motivazione la violazione della sovranità nazionale, e sostenendo che, qualora da Israele dovesse scattare la risposta, si comporterebbe nello stesso modo. Voglio vedere cosa succederà in questo caso. Se la Giordania nega il passaggio degli aerei e Israele, come fa di solito, non ne tenesse conto, violerebbe lo spazio aereo di un altro Paese. L’alternativa sarebbe sorvolare l’Arabia Saudita? Non è da escludere.
Attaccare l’Iran, insomma, non è così facile?
La via più diretta è quella che passa da Giordania e Iraq, anche se non si può sapere da dove potrebbe arrivare veramente l’attacco. Sto parlando di aerei, altra cosa se si lanciano missili. Comunque, sta di fatto che sulla via da scegliere ci sono già degli intralci. Un’altra idea potrebbe essere quella di sostituire la Giordania con la Siria, che è terra di nessuno, dove di fatto non c’è contrasto. Nemmeno i russi si oppongono a Israele quando va a bombardare gli aeroporti di Damasco o Aleppo.
Poi c’è il problema dell’intensità dell’attacco.
C’è da chiedersi qual è l’attacco che non provocherà una risposta dura da parte iraniana. Forse potrebbero attaccare le industrie che fabbricano i droni, magari vendendo l’azione anche come un favore agli ucraini, visto che si tratta di armi che vengono utilizzate dai russi. L’obiettivo non possono essere gli impianti nucleari, troppo pericolosi, né posti in cui si rischia di fare molte vittime. Gli iraniani sono stati attenti a non provocare vittime umane. Comunque hanno già detto che stavolta non pazienteranno 12 giorni per rispondere, ma 12 secondi.
Sono state prese in considerazione alternative all’attacco diretto in territorio iraniano?
Qualcuno ha suggerito di attaccare gli iraniani in Siria piuttosto che Hezbollah in Libano, ma siccome l’Iran ha attaccato direttamente Israele, anche gli israeliani vogliono rispondere colpendo sul territorio iraniano. Come alternativa forse va presa in considerazione più quella della Siria: lì i pasdaran ci sono, in Libano no. Non solo, ci sarebbero anche più obiettivi da colpire.
Potrebbe essere l’occasione, invece, per scatenare la guerra in Libano che Tel Aviv minaccia già da tempo?
Gli israeliani stanno già aumentando di molto la pressione in Libano, ci sono stati anche 18 feriti israeliani per un bombardamento di Hezbollah. Certo, la soluzione intermedia potrebbe essere questa.
Per quanto riguarda l’attacco a Rafah, c’è sempre il tema della popolazione civile che è concentrata in quella zona, perché fuggita dopo i bombardamenti delle loro case. Ora non è più un problema?
I palestinesi non si sono ancora spostati; se l’esercito israeliano dovesse intervenire subito non ci sarebbe tempo per trasferirli da qualche altra parte. Quello che preoccupa è che siamo entrati in un vicolo cieco di reazione e controreazione, ma così non si finisce più. Per ottenere la de-escalation che tutti auspicano qualcuno deve smettere di rispondere. D’altra parte, dal punto di vista strategico e politico, se Israele non dovesse rispondere all’Iran dovrebbe ammettere un cambio delle sue “regole di ingaggio”: Israele ha sempre risposto, anche dopo anni. La guerra segreta contro l’Iran va avanti da anni, con assassini anche degli scienziati nucleari.
(Paolo Rossetti)
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