L’attacco, con relativa strage, a Makhachkala e Derbent in Daghestan – il cui bilancio, mentre scriviamo, è di 20 morti e 46 feriti – riaccende, in un mondo già di per sé in fiamme, un nuovo focolaio di violenza.

Come nel recente massacro al centro commerciale a Mosca, non si tratta di un semplice atto terroristico, ma di un’azione di tipo militare pianificata ad arte. Questa volta si sono voluti colpire non frequentatori occasionali di un centro di divertimenti, ma centri religiosi di quelli che in modi diversi vivono l’esperienza religiosa non come la vedono loro, gli esponenti della nuova ISIS dell’area Caucaso-Asia Centrale.



Chiesa cristiana ortodossa, sinagoga, moschea e polizia di musulmani integrati in quello che loro considerano il sistema degli infedeli, sono tutti uguali, nemici da colpire e, prima o poi, da eliminare.

Se Hamas vuole cancellare dalla Palestina gli ebrei (e per alcuni di loro, viceversa), l’ISIS vuole cancellare gli infedeli dalla faccia della terra. Certo siamo solo all’inizio di un tale progetto, e non è sicuro che sarà mai realizzato, ma stiamo certi che questi continueranno a provarci.



Nessuno manifesterà in piazza contro di loro, anche perché questi qui non scherzano. Non vedremo, credo, bandiere dell’ISIS sventolare dalle sedi di certi comuni italiani insieme a quelle palestinesi, ma in molte moschee, più o meno legali, forse si è già riaccesa la discussione: e se fossero questi i nostri futuri liberatori da questi occidentali che ci opprimono e che ci sfruttano?

Per ora la lotta contro questi nuovi estremisti islamici è lasciata ai servizi segreti e a quei poveri poliziotti che si preparano ad essere le prime vittime della loro violenza.

Mi spiace che per ora si trascuri troppo il compito di cercare di integrare i giovani musulmani presenti da noi. Non si tratta di censurare le loro origini, ma di far capire loro e ai loro genitori i veri pericoli di un islamismo che è anche poco islamico.



In Asia Centrale e mondo del Caucaso, zone su cui da troppo tempo non c’è sufficiente attenzione da parte nostra, si tratta di non lasciare la lotta contro l’ISIS solo ai governi locali, ma di aiutarli, non dico nel campo militare, ma in quello culturale, a proporre alla loro gente non un generico buonismo, ma una nuova esperienza veramente religiosa. A ben pensare, non è quello di cui avremmo bisogno anche noi?

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