Un attacco a sorpresa, giustificato da parte ucraina con rivendicazioni territoriali velleitarie su alcune zone di confine in Russia, pensato da Zelensky per risollevare il morale del Paese, ma che potrebbe rivelarsi un boomerang, scoprendo ulteriormente le difese già malridotte dell’Ucraina. Di certo, l’effetto principale, osserva Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e opinionista di Analisi Difesa, è che i russi saranno ancora più determinati al tavolo delle trattative a chiedere che le forze di Kiev vengano rese inoffensive, che non abbiano più la possibilità di attaccarli sul loro territorio, né tantomeno di aderire alla NATO. Una situazione che potrebbe costare caro allo stesso presidente ucraino, che in caso di fallimento sarebbe chiamato a rispondere di una nuova débâcle dopo la controffensiva dell’anno scorso.
L’attacco ucraino in Russia sembra continuare, si parla addirittura di puntare alla zona di Belgorod: durerà?
Gli ucraini non hanno le risorse per aprire altri fronti. Sono avanzati di una trentina di chilometri, ma con distaccamenti mobili, molto veloci. La forza iniziale è stata stimata in non più di 2-3mila uomini. Tuttavia, all’ospedale di Sumy, il più vicino alla zona dei combattimenti, si parla di 1.600 ricoveri tra combattenti ucraini e prigionieri russi. Vorrebbe dire aver già dimezzato il contingente.
I russi parlano di 2.030 morti ucraini, possibile?
Dobbiamo prendere le distanze dalle comunicazioni ufficiali. Le unità che hanno dato vita a queste iniziative sono un miscuglio di varie unità, costituite a scapito di altre, rimaste sottoalimentate e che ora stanno affrontando i russi in Donbass. E non stanno prevalendo. Questo avvalora la tesi dell’attacco suicida. Il comandante dell’ottantesima brigata di assalto aviotrasportato ucraina si è rifiutato di eseguire l’ordine di attacco ed è stato sostituito: aveva definito l’azione a Kursk, appunto, un suicidio.
Per Kiev sarà difficile tenere le posizioni conquistate?
Sì, i russi si dovranno impegnare per respingere l’aggressore, ma di fatto sarà molto difficile che Kiev possa mantenere i territori conquistati, né potrà utilizzare questa avanzata per negoziare con la Russia da una posizione più forte.
Georgi Tykhiï, portavoce del ministero degli Esteri ucraino, dice che Kiev non vuole annettersi dei territori, ma raggiungere obiettivi militari: in estate dalla zona di Kursk sarebbero partiti 2mila attacchi verso l’Ucraina. Quella parte di Russia non interessa a Zelensky?
Una dichiarazione che non trova riscontro nella realtà. Zelensky stava già pianificando incursioni nel territorio russo da tempo, era già emerso un anno fa. L’obiettivo era negoziare da una posizione di forza con Putin. Nel gennaio di quest’anno il presidente ucraino ha firmato un decreto per preservare l’identità etnica degli ucraini in Russia, che comportava rivendicazioni territoriali su alcune regioni di confine che comprendono Belgorod e Kursk. C’era un disegno politico-militare, insomma, che già da tempo stava prendendo piede. Una rivendicazione strumentale, perché in quelle regioni prevale la popolazione ucraina che vuole rimanere in Russia.
Ci sono anche altre motivazioni?
L’attacco a Kursk serve ad alzare il morale del fronte interno, soldati e popolazione, di fronte a un andamento poco favorevole della guerra. Da molto tempo, inoltre, Zelensky sta chiedendo agli USA di usare armi a lungo raggio per colpire la Russia. L’obiettivo che non ha potuto perseguire con queste armi ha cercato di raggiungerlo con le forze convenzionali.
Molti analisti parlano di sostegno della NATO o perlomeno dell’intelligence britannica. Un elemento che fa il paio con la notizia di fonte russa secondo cui gli USA vorrebbero avvicendare Zelensky, sostituendolo con l’ex ministro degli Interni Arsen Avakov. Il presidente è ancora sostenuto dagli occidentali o no?
Sono tutte dinamiche che fanno parte di un momento delicato delle relazioni fra Kiev e Washington. Sicuramente c’è stato un appoggio occidentale, probabile quello inglese: ci sono filmati di prigionieri ucraini che dicono di aver sentito parlare in inglese, polacco e francese nelle comunicazioni intercorse nell’operazione. Dire NATO è eccessivo, non si può identificare l’alleanza con tutte le iniziative dei singoli Paesi. L’Italia, per esempio, ha preso le distanze. Della dialettica fra Kiev, Washington e Londra poco si sa. La matrice politica dell’operazione è ucraina e la pianificazione lascia pensare che ci sia stato un contributo esterno importante, però gli USA sembrano molto irritati da quello che è accaduto. Già la controffensiva dello scorso anno è fallita proprio per le differenze di approccio che Kiev aveva rispetto agli americani.
Quindi l’ipotesi della SVR russa (servizi segreti) che gli Stati Uniti vogliano sostituire Zelensky non è così peregrina?
I russi hanno tutto l’interesse a portare avanti questa narrativa. Concordo che debba accadere prima o poi. Nell’attacco a Kursk vedo, comunque, tutta la disperazione di Zelensky.
Putin intanto ha chiuso a eventuali negoziati. Che conseguenze avrà questa situazione sulle trattative?
Questa aggressione non fa altro che confermare alla Russia l’assoluta priorità strategica di non concedere all’Ucraina, in futuro, di violare il suo territorio. Le condizioni di sicurezza in un processo di pace saranno durissime. Putin ancora di più non potrà accettare un’espansione della NATO vicino ai suoi confini. Questo è l’effetto principale che l’incursione sta provocando.
Se l’attacco dovesse fallire, scoprendo le difese interne dell’Ucraina e risultando dannoso per la difesa del Paese, potrebbe essere il canto del cigno di Zelensky?
Molti lo pensano e io concordo con questa prospettiva. Dal punto di vista militare, questa iniziativa non ha alcuna logica, la pagano i soldati sulla loro pelle. Anche il comandante delle forze armate Sirsky ha delle responsabilità, non avendo consigliato una condotta più prudente. D’altronde, Zaluzhny era stato silurato proprio perché aveva consigliato di rafforzare le difese in Donbass e di non perdere così tanti uomini a Bakhmut e Avdiivka. Sirsky è più remissivo e obbediente. Ripiegare non significa arrendersi, ma riorganizzare le difese. Più l’Ucraina perde uomini e materiali, più sarà difficile garantirne la sicurezza nel dopoguerra: ci sarà da affrontare il tema del suo riarmo, ma con condizioni che la Russia pretenderà vengano rispettate. Da questo punto di vista, l’azione è assolutamente controproducente.
Le operazioni militari si sono sviluppate anche nella zona della centrale nucleare di Kurchatov e di Sudzha, dove passa il gasdotto che da Russia e Ucraina porta il gas in parte dell’Europa. Si voleva colpire proprio lì?
Un effetto indiretto c’è stato, perché anche se gli ucraini non controllano Sudzha c’è già stato un aumento del prezzo del gas. Può darsi che tutto ciò faccia parte del disegno. Certo, se Kiev non riesce a controllare il territorio, tutto rientrerà nelle mani dei russi. Per quanto riguarda la centrale nucleare, nella disperazione dell’iniziativa l’aspetto più pericoloso è che le artiglierie ucraine giungano a una distanza tale da poter fare fuoco contro di essa. Una sorta di terrorismo nucleare con armi convenzionali. D’altronde, gli ucraini hanno appena colpito la centrale di Zaporizhzhia. Militarmente non ha senso, l’unico aspetto è di provocare un disastro nucleare, che possa provocare danni senza l’impiego di armi di questo tipo.
L’attacco alle centrali è l’arma nucleare che gli ucraini non hanno?
Esattamente. Questa potrebbe essere una prospettiva decisamente da scongiurare. Il limite tra un’escalation nucleare convenzionale e una di questa portata è veramente labile. Ma provocare una nuova Chernobyl attaccando una centrale nucleare significherebbe aver perso veramente il senso delle cose.
(Paolo Rossetti)
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