La Polizia postale del Friuli Venezia Giulia e della Puglia, unitamente agli agenti delle Digos di Trieste e Lecce, hanno individuato e denunciato un presunto hacker no vax 33enne nell’ambito delle indagini sull’attacco informatico al Consiglio comunale di Trieste del 15 febbraio scorso. Durante una seduta online, le chat dei consiglieri furono tempestate di messaggi e le immagini delle webcam furono alterate per interrompere i lavori. L”indagato, spiegano gli inquirenti, è stato sottoposto a perquisizione domiciliare e informatica e l’operazione fa parte di una serie di più ampie attività investigative volte a fermare il fenomeno del cosiddetto “zoombombing“, una pratica che ha come obiettivi l’interruzione di videoconferenze e quello di provocare disagi ai partecipanti.



La persona finita sotto la lente delle forze dell’ordine avrebbe agito nella convinzione di restare nell’ombra, ma alcune tracce digitali seminate durante le sua attività avrebbero permesso alla Polizia postale di rintracciarla. L’uomo avrebbe numerosi precedenti per violazione delle norme di contenimento della pandemia e resistenza a pubblico ufficiale. Il contenuto dei messaggi con cui avrebbe prodotto l’attacco al Consiglio comunale del capoluogo friulano, si legge nella nota degli investigatori, avrebbe “tenore fortemente no vax“.



Polizia postale incastra presunto hacker dell’attacco informatico al Consiglio comunale di Trieste

Le indagini, coordinate dal pm Pietro Montrone della Procura di Trieste, avrebbero portato alla perquisizione domiciliare ed informatica a carico di un uomo di 33 anni di origine toscana, residente in Puglia, sospettato di essere il responsabile dell’attacco al Consiglio comunale della città avvenuto il 15 febbraio scorso. Durante la seduta online sarebbe apparso improvvisamente il logo del movimento V_V (Voce di lotta non violenta per la libertà e i diritti umani)al posto delle webcam di alcuni consiglieri, e la chat sarebbe stata invasa da contenuti no vax e no Green pass come questi: “Il governo vi ordina di fare i nazi razzisti sanitari e voi ubbidite come fecero i tedeschi con Hitler“, “La discriminazione è un crimine, chi appoggia il green pass è un nazista“.



Secondo quanto ricostruito dalla Polizia postale, le circa 29mila le parole diffamatorie pubblicate via chat nel giro di pochi minuti avrebbero causato l’interruzione dei lavori per almeno un’ora. Uno “scenario inequivocabile”: così gli inquirenti descrivono quanto scoperto in sede di perquisizione domiciliare a carico del 33enne attualmente indagato: nell’abitazione dell’uomo sono stati repertati maschere antigas, magliette e adesivi con il logo V_V, ricevitori in radiofrequenza e bombolette spray di colore rosso. Alla vista degli agenti, il 33enne avrebbe tentato di resettare il proprio dispositivo cellulare per cancellare eventuali indizi. Si tratterebbe di un soggetto “particolarmente attivo nel reclutamento di nuovi seguaci del sedicente movimento V_V“. L’attacco informatico al Consiglio comunale di Trieste sarebbe stato pianificato all’interno di un gruppo Telegram creato ad hoc, accessibile attraverso un link contenente l’annuncio della “operazione specialeai danni del Comune di Trieste.

La ricostruzione dell’attacco informatico al Consiglio comunale di Trieste

In Rete, la garanzia dell’anonimato non esiste – spiega Manuela De Giorgi, dirigente del Compartimento Polizia postale di Trieste –. Sebbene l’indagato utilizzasse tecniche di anonimizzazione con connessioni che sembravano, da una prima analisi, provenire da ogni parte del mondo, la Polizia postale è riuscita a ricostruire le tracce digitali dell’uomo identificando così l’autore del reato“. Secondo quanto ricostruito in sede di indagini, infatti, l’indagato avrebbe agito convinto di depistare eventuali attenzioni investigative attraverso la simulazione di connessioni estere (da città come Los Angeles o New York), ma sarebbe stato smascherato.

Durante la pandemia, spiega ancora la dirigente De Giorgi, il fenomeno delle intrusioni informatiche che si concretizza nel cosiddetto “zoombombing” è cresciuto in modo esponenziale. Nello specifico caso dell’attacco informatico al Consiglio comunale di Trieste del 15 febbraio scorso, questo è consistito in un “bombardamento” della chat della seduta online: “Nel giro di 4 minuti, i presenti hanno i presenti hanno visto scorrere sullo schermo circa 1000 post diffamatori contenenti 29mila parole interrompendo così i lavori in corso“.