Cento persone morte nell’attacco a una scuola di Gaza, piena di miliziani secondo Israele, rifugio di persone comuni secondo Hamas. L’ennesima tragedia della Striscia non è solo un altro massacro di palestinesi, uno fra i tanti, ma anche un messaggio forte di Netanyahu: la trattativa per liberare gli ostaggi e il cessate il fuoco non s’ha da fare. Anche perché a Israele viene chiesto di liberare Marwan Barghouti, leader in carcere che potrebbe ricompattare la galassia delle fazioni palestinesi. Infatti, il negoziato che doveva partire a Ferragosto pare già saltato, mentre parimenti potrebbero ancora non essere i giorni della risposta iraniana all’attacco nel quale è stato ucciso il capo di Hamas, Ismail Haniyeh.
Teheran, spiega Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI, sta tenendo in scacco da tre settimane un intero Paese, che vive nell’attesa di un blitz che potrebbe fare male: per ora l’Iran vince ai punti e non ha interesse a scatenare una reazione che potrebbe allargare il conflitto a livello locale, mentre il governo israeliano, come una parte dell’establishment iraniano, propende per la guerra. “Netanyahu è un uomo totalmente irresponsabile – continua Tramballi -, Israele è diventato un elemento di destabilizzazione della regione quanto gli Houthi, gli Hezbollah o i pasdaran iraniani”. L’ANP, intanto, cerca timidamente di riprendersi un po’ di prestigio, ma senza grandi risultati.
Abu Mazen è andato a Mosca tre giorni per parlare con i russi, mentre l’Egitto chiede che il valico di Rafah venga controllato dall’ANP. L’Autorità Nazionale Palestinese cerca di ritagliarsi un ruolo?
Ora contano Sinwar e i prigionieri che potrebbero essere liberati, come Marwan Barghouti. Abu Mazen è un “vecchio trombone” che viene dalla fondazione di Fatah. Certo è che Russia e Cina sono sempre lì: le leggi della diplomazia sono come quelle della fisica, se viene creato un vuoto c’è qualcuno che lo riempie. Russi e cinesi ci provano, sebbene gli americani siano ancora gli unici negoziatori di peso in Medio Oriente. Per quanto riguarda Rafah, gli egiziani non vogliono che del valico e del corridoio Philadelphi si occupino gli israeliani. Anche loro, comunque, hanno delle responsabilità nella situazione.
Quali sono le colpe dell’Egitto?
In questi anni hanno lasciato che in quella zona passassero armi e aiuti ad Hamas, grazie alla corruzione profonda delle forze armate egiziane. Anche adesso, quando i palestinesi che potevano permetterselo cercavano di uscire da Gaza, hanno realizzato una struttura di corruzione pazzesca, con la quale sono diventati milionari. L’Egitto rimane comunque importante in un eventuale processo di pace.
La trattativa per la liberazione degli ostaggi e per il cessate il fuoco, nonostante venga spesso rilanciata, soprattutto dai media, alla fine non fa un passo avanti. Non si arriverà mai a niente?
Adesso che Biden è libero da questioni relative alla sua rielezione, ha detto chiaramente a Netanyahu di smetterla con certi giochi: ogni volta che Hamas è disponibile all’accordo, Israele rilancia chiedendo altro. Stavolta c’è stato un massacro di civili in una scuola di Gaza, proprio tre giorni prima di un’eventuale ripresa delle trattative. Hamas dice che sono stati uccisi cento donne e bambini, Israele sostiene che c’erano dei miliziani. Perché dobbiamo credere a Israele e non ad Hamas? I dati forniti da Hamas vengono confermati dalle Nazioni Unite, tanto è vero che anche gli USA ci credono; ogni volta che gli israeliani dicono di aver ucciso solo miliziani o che l’UNRWA è corrotta, non portano prove.
L’attacco alla scuola, quindi, è la prova, se mai ce ne fosse bisogno, che Netanyahu non vuole nessun negoziato?
Sì. Quello che viene chiesto stavolta è molto importante: la liberazione di Marwan Barghouti. Per gli israeliani cambierebbe le regole del gioco. Se venisse liberato, riuscirebbe a unire i palestinesi, avrebbe un consenso enorme. Netanyahu non vuole arrivare a questo.
Dicono che Sinwar sia interessato alla tregua, ma ora Hamas non vuole più trattare, chiede che venga applicato il piano Biden. Paradossalmente Hamas è d’accordo con gli USA e Israele no?
Biden non ha buoni rapporti con Netanyahu, ma non si può dire che sia antisraeliano. È sempre stato molto filo-israeliano, fin da quando era senatore. E se Hamas obietta a Israele: “Gli americani fissano le regole, sono quelli che vi danno le armi e adesso voi volete qualcosa di diverso?”, be’, in questo caso ha ragione. È brutto dirlo perché comunque è un movimento che ha una vocazione terroristica e usa i civili come scudi umani, ma non è che gli israeliani, che si fregiano di essere l’unica democrazia del Medio Oriente, si fermino davanti all’idea di uccidere cento bambini, purché siano palestinesi. Persino Forza Italia, filo-israeliana dalla sua fondazione, con Tajani è stata costretta a dire che è insopportabile quello che stanno facendo gli israeliani, che il diritto di difendersi non può essere il diritto di massacrare.
L’ennesima previsione dice che gli iraniani attaccheranno Israele prima di Ferragosto, ipotetica data di ripresa dei negoziati. Si muoveranno o no? Gli americani hanno portato nel Mediterraneo la loro seconda portaerei e un sottomarino nucleare, continuano a far pressione perché Teheran non risponda?
Gli iraniani stanno già ottenendo tantissimo così: tengono gli israeliani sul chi vive da ormai tre settimane. Ci sono i piloti allertati, la cittadinanza viene invitata a fare scorte di acqua e di cibo e a non allontanarsi dai bunker di sicurezza. Tengono sulle spine un Paese intero: perché dovrebbero attaccare sapendo che potrebbero subire distruzioni? Per quanti danni potrebbero infliggere a Israele, non vedo l’interesse a prendere l’iniziativa, a dare il via a una guerra locale.
Rischierebbero di fare il gioco di Netanyahu?
Ci sono gli estremisti in tutt’e due i campi. A Teheran c’è sicuramente un dibattito fra i militaristi, i pasdaran, i generali che nella loro stupidità vogliono la guerra, e il nuovo governo moderato eletto dalla gente. Ma c’è una sorta di alleanza di estremisti, fra Netanyahu e il suo governo da una parte e i militaristi del regime iraniano: c’è l‘interesse comune di voler far saltare tutto per cercare di vincere tutto. L’Iran è in crisi economica e pure il regime è in difficoltà, ma è un grande Paese, popoloso, non è la Libia di Gheddafi. In questo momento, al di là del fatto che si sentono umiliati per l’omicidio di Haniyeh, gli iraniani stanno vincendo ai punti. È sciocco tentare di colpire, sarebbe il suicidio di un regime che è già sull’orlo dell’implosione.
Gran Bretagna, Francia e Germania hanno chiesto all’Iran di non reagire. Borrell, alto rappresentante UE per la politica estera, dopo aver ascoltato le parole del ministro Ben Gvir secondo il quale la Striscia andrebbe occupata e non bisognerebbe mandare aiuti ai palestinesi, dice che Bruxelles dovrebbe usare le sanzioni L’Europa continua a rimanere ai margini?
L’Europa è una potenza economica, ma non ha una politica estera credibile. Quando Borrell dice una cosa, le destre non sono d’accordo. L’Europa è quello che vogliamo che sia e non potrà cambiare se ogni volta che acquisisce potere si alza il livello di nazionalismo. Francia, Gran Bretagna e Germania, però, contano, i primi due Paesi anche dal punto di vista militare: erano tra quelli che avevano avviato la trattativa sul nucleare iraniano. Io credo che in questo momento, tuttavia, ci sia un canale diretto tra USA e Iran. Non con Khamenei, ma con qualche rappresentante del nuovo governo moderato sì.
(Paolo Rossetti)
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