Il segretario di Stato USA, Anthony Blinken, che telefona al ministro degli Esteri saudita Faisal Bin Farhan. L’inviato americano in Medio Oriente, Brett McGurk, che chiede all’Arabia Saudita, agli Emirati Arabi, al Qatar e all’Iraq, di passare un messaggio all’Iran con la richiesta di non alzare troppo la tensione. La diplomazia statunitense sa quanto sia grande il rischio di escalation della guerra se la risposta di Teheran al blitz israeliano su Damasco fosse particolarmente dura. E si muove di conseguenza, sfruttando il fatto che, almeno sulla carta, nessuno dei Paesi dell’area vuole un allargamento della guerra.
Eppure, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di diplomazia culturale e geopolitica del Medio Oriente, avrebbero anche alcuni temi da mettere sul tavolo che potrebbero convincere l’Iran ad accordarsi e quindi a rendere meno tesa la situazione in tutta la regione. Il primo fra tutti è l’intesa sul nucleare iraniano. Non sarebbe la prima volta, d’altra parte, che americani e iraniani si accordano in gran segreto per mettere fine ad ataviche questioni.
Intanto l’attesa per l’attacco iraniano, in un crescendo rossiniano, è stata riempita da annunci fatti filtrare da fonti USA, dal Wall Street Journal alla CBS, secondo i quali sarebbe imminente. “Mi aspetto che l’Iran attacchi Israele a breve”, ha detto ieri sera lo stesso presidente americano Biden. Una ridda di voci che potrebbe arrivare persino a giustificare un’azione preventiva di Israele, per sventare l’attacco.
L’attesa dell’attacco iraniano ha scatenato anche le ipotesi su tempi e modi. Che senso ha questo susseguirsi di annunci sulla reazione di Teheran?
L’azione di Israele a Damasco è stata molto forte: non è la prima volta che uccide un generale iraniano, ma stavolta è stata colpita una sede diplomatica che per definizione, come gli ospedali, non dovrebbe essere toccata. In questo contesto non è da sottovalutare il gioco della disinformazione, delle notizie per spaventare l’Iran rispetto a una uscita preventiva di Israele o degli USA. Se si dice che Teheran attaccherà entro 24 ore, chi deve essere attaccato (Israele, nda) può giustificare un’azione preventiva. Non sappiamo se le informazioni fatte filtrare sono vere. L’intelligence degli Stati Uniti ha già dimostrato cosa può fare con le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Meglio prendere con le pinze quello che arriva dall’intelligence americana sui media americani, potrebbero essere delle provocazioni.
Gli USA chiedono un po’ a tutti nel Medio Oriente, e anche alla Cina, di fare pressione sull’Iran perché non alzi ulteriormente la tensione. Ma i Paesi arabi, in primis, che ruolo possono giocare?
Diciamo innanzitutto che i protagonisti principali che possono fare la differenza sono USA, Israele e Hamas. Fino a quando gli americani non decideranno di intervenire concretamente sugli israeliani sul modo in cui vengono condotti i combattimenti, fino a che Israele stesso non si modererà, ammesso che all’attuale leadership questo convenga, e Hamas non riterrà opportuno liberare chi è rimasto degli ostaggi e fare un passo avanti con il nemico, non se ne esce. Nonostante questo i Paesi arabi stanno giocando un ruolo importantissimo dietro le quinte: l’Egitto, il Qatar e l’Arabia Saudita hanno già messo in atto questo potere quando hanno raggiunto la prima tregua e sono riusciti a far entrare i primi aiuti. Speriamo che ottengano qualcosa anche questa volta.
Potrebbero riuscire a mediare fra Iran da una parte e USA e Israele dall’altra? O potrebbe intervenire la Cina, che ha riavvicinato Iran e Arabia facendo ripartire i rapporti diplomatici tra Teheran e Pechino?
Il ruolo della Cina nella normalizzazione dei rapporti Iran-Arabia Saudita non va dimenticato, un accordo raggiunto in tempi brevi superando in pochissimo tempo decenni di ostilità. Un indicatore del fatto che non solo l’Arabia, ma tutti i Paesi dell’area cercano di normalizzare i rapporti. Non è un interesse di nessuno l’escalation del conflitto, tanto meno degli USA che già devono affrontare la campagna elettorale e sono impegnati in una guerra senza quartiere contro la Russia. Già ora sono in difficoltà a trovare munizioni contemporaneamente per ucraini e israeliani, figuriamoci se si scatenasse un conflitto anche contro l’Iran, potenza militare da non sottovalutare.
Su cosa USA, Israele e Iran potrebbero accordarsi per evitare un allargamento del conflitto?
Per prima cosa sulla restituzione degli ostaggi, anche se la stessa azione militare di Israele mette in pericolo i rapiti e rende difficile rintracciarli. Poi c’è la questione degli attacchi degli Houthi alle navi nel Mar Rosso. Immagino però che gli americani, nonostante Biden sia a fine mandato, puntino a una ripresa degli storici accordi che stavano per essere finalizzati con Obama sul nucleare iraniano. Un tema che si accompagna alla fine dell’embargo e ad altre questioni. Gli USA, insomma, hanno argomenti da mettere sul tavolo. Qualcosa da offrire all’Iran e lo stesso vale anche nell’altra direzione.
Può darsi che sottotraccia ci sia anche questo tipo di trattativa?
Sicuramente, d’altra parte la storia delle trattative sottobanco fra USA e Iran hanno una lunga storia, dall’affare Iran-Contra in poi. Tutto il mondo è rimasto sorpreso quando Obama ha annunciato gli accordi sul nucleare iraniano: pochi se lo aspettavano.
La milizia irachena filoiraniana Kataib Hezbollah si è detta disponibile ad armare la resistenza islamica in Giordania. Un altro fronte che l’Iran può aprire indirettamente dopo quello del Libano?
L’Iran soprattutto dopo la sciagurata invasione dell’Iraq da parte degli USA è riuscito a costituire una rete di proxy. Gruppi filoiraniani sono presenti in tutta l’area. La vedo più difficile in Giordania: è un Paese molto più stabile del Libano. Teheran usa Hezbollah e il sud del Libano come territorio preferito per mettere pressione su Israele. La risposta all’attacco di Damasco potrebbe anche arrivare lì. D’altronde il Libano in tutti i conflitti che ruotano intorno alla questione palestinese ha sempre pagato un prezzo altissimo: non sarebbe una novità che vanga usato come terreno per regolare i conti.
I Paesi arabi spingono perché il conflitto non si espanda, e devono rispondere a un’opinione pubblica particolarmente sensibile sulla questione palestinese, anche per come viene presentata dai media la guerra a Gaza. Come raccontano la guerra i media nei Paesi arabi rispetto alla stampa occidentale?
Ciò che si trova sui media arabi non ha niente a che vedere con il racconto dei media occidentali. Paradossalmente nell’Europa della libertà di informazione non abbiamo la percezione del dramma che si sta consumando a Gaza come ce l’hanno le popolazioni del mondo arabo. In particolare Al Jazeera, che Israele cerca di chiudere, mostra tutto, con le telecamere che arrivano pochi secondi dopo i bombardamenti rendendo conto degli effetti devastanti delle azioni militari nella Striscia. Trasmettendo in diretta, cosa che in Occidente non avviene, ha un’influenza molto forte su come l’opinione pubblica percepisce il conflitto.
(Paolo Rossetti)
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