Tutti in attesa dell’attacco. L’Iran ha annunciato la risposta all’uccisione del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran. Lo farà, dicono in molti, appoggiandosi ai suoi proxy, Hezbollah e Houthi. Di fatto, spiega Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, gli unici che hanno dimostrato, però, di volere una guerra con l’Iran sono proprio gli israeliani, perché sanno che solo così potrebbero ricompattare intorno a loro il fronte occidentale.
La prospettiva, insomma, resta quella della guerra e basta. Per puntare alla pace occorrerebbe un’iniziativa diplomatica su larga scala che né USA né UE oggi hanno la credibilità per lanciare. Potrebbe farlo la Cina, che infatti ha appena riunito a Pechino 14 fazioni palestinesi per riuscire a ridare un’unità politica alla Palestina.
Non è un caso che Israele abbia messo nel mirino Haniyeh proprio dopo questo incontro. Il capo di Hamas potrebbe essere stato ucciso proprio per questo: per sparigliare le carte di fronte a una rinnovata unità palestinese. Intanto il governo Netanyahu starebbe pensando anche a possibili azioni preventive.
Cosa ha in mente di fare l’Iran? Un attacco mediante e suoi proxy?
Vedremo se la decisione politica sarà un’azione dimostrativa come in aprile o se sarà un attacco più prolungato. In questo caso probabilmente gli iraniani hanno costituito un comando congiunto in Siria o in Libano per coordinare l’azione con i loro alleati. Se vogliono fare del male a Israele l’attacco sarà multiplo e concentrato: ogni giorno qualche centinaio di missili e droni dall’Iran, dal Libano, dall’Iraq e dallo Yemen. Logorerebbero le difese aeree israeliane, anche se aiutate da americani e francesi. Se subisse un attacco prolungato (solo gli Hezbollah hanno 60mila razzi a corto raggio) Israele rischierebbe di finire le munizioni. E una volta saturate le difese aeree, l’Iran potrebbe usare missili ipersonici che si sono già rivelati difficili da intercettare anche per Tel Aviv.
Se gli iraniani scegliessero questa possibilità sarebbe guerra totale?
Gli israeliani hanno un arsenale balistico importante e 150 testate atomiche: la loro dottrina prevede di impiegarle se Israele viene minacciato nella sua esistenza. Finora l’Iran ha fatto di tutto per stare fuori dalla guerra. E anche gli USA, vista la loro complicata situazione interna, con un presidente rimosso come candidato ma che rimane a guidare il Paese dovendo gestire due guerre, non vogliono una guerra con Teheran: c’è un approccio sempre più critico dall’amministrazione democratica perché il prolungamento delle operazioni a Gaza sta mettendo a rischio una fetta dell’elettorato, che dissente in merito al supporto incondizionato a Israele.
Netanyahu vuole la guerra con l’Iran?
Israele sta cercando da mesi di coinvolgere l’Iran, ci ha provato con l’attacco a Damasco e ci ha riprovato ora. È l’unico Paese che ha interesse ad allargare la guerra a Teheran, perché sa che così non perderà l’appoggio dei Paesi occidentali. Diciamolo brutalmente: un bambino palestinese porta in piazza migliaia di persone in Europa e nei campus USA, un bambino libanese meno, un bambino iraniano nessuno. Nel momento in cui ci fosse un intervento diretto dell’Iran il fronte occidentale si ricompatterebbe intorno a Israele, mentre oggi è molto critico per quello che è successo a Gaza.
Un attacco dell’Iran porterebbe le altre nazioni della zona ad aiutare Israele a difendersi come è successo l’ultima volta, in aprile, con Giordania e Arabia Saudita che avrebbero dato una mano a neutralizzare i razzi iraniani diretti verso Israele?
L’Iran grazie alla mediazione cinese ha fatto la pace con la monarchia sunnita del Golfo. I Paesi arabi però non vedono di buon occhio un allargamento dell’Iran come potenza militare: non vogliono una mezzaluna sciita che dall’Iran passando per Iraq e Siria arrivi al Libano. Un’iniziativa di Teheran, tuttavia, darebbe all’Iran la palma del difensore dei palestinesi e anche degli arabi in generale. L’Iran non è un Paese arabo ma il Libano sì e anche la Siria e l’Iraq. Inoltre, le opinioni pubbliche del mondo arabo sarebbero molto arrabbiate se i loro capi aiutassero Israele. La Giordania è il Paese più esposto, perché ha milioni di cittadini palestinesi. Se succederà quello che è successo in aprile non gli verrà dato molta pubblicità: in Giordania, d’altra parte, ci sono basi americane.
Due israeliani accoltellati da un palestinese a Holon, razzi da Gaza: quali saranno le sorti della resistenza palestinese? Hamas sarà difficile da neutralizzare, da eliminare?
Sugli attacchi a Holon noto solo una cosa: episodi del genere, fatti con il coltello, in Cisgiordania vengono interpretati dagli israeliani come un atto terroristico. Se succede in Francia e Gran Bretagna, invece, si nega la matrice terroristica. Per quanto riguarda Hamas, la questione è semplice: ha organizzato un attacco come quello del 7 ottobre e si è preparata anche alla rappresaglia israeliana. Da più di un anno metteva da parte scorte e munizioni per poter resistere. Quello che Israele ha fatto, almeno in una certa misura, era stato previsto. Per questo oggi Israele è in un cul de sac: o va avanti fino alla fine e distrugge uno per uno i comandanti e i combattenti di Hamas, vincendo la guerra, o si ritira prima. In questo caso la perderebbe. Se l’obiettivo era distruggere Hamas, la guerra si vince o si perde sulla base degli obiettivi stabiliti. Allargando il conflitto a Hezbollah sarà anche più dura, è venti volte più forte di Hamas e molto radicata sul territorio.
Che futuro ha in mente Israele, cosa prevede per il dopoguerra?
Credo stia valutando un ritorno alle fasce di sicurezza. Quando in passato si è ritirata dal Libano e dalla Striscia ha seguito il principio “terra in cambio di pace”. Oggi però vede che il nemico, da Gaza come dalle colline libanesi, bombarda più facilmente: allora vuole guadagnare territorio a spese della Striscia e del Libano per creare in entrambe le situazioni una zona di sicurezza. Se questo è l’obiettivo avremo una guerra lunga e sanguinosa davanti.
Il modo per uscire da questo ginepraio quale potrebbe essere?
Israele non vuole trattare con nessuno, lo dimostra il fatto che ha ucciso Haniyeh, il leader politico, l’uomo con cui vai a negoziare. La sua morte spiana la strada a Sinwar che è un falco. Lo si vede anche sulla questione degli ostaggi. Ormai l’intelligence israeliana rimprovera a Netanyahu di fermarsi ogni volta che ci si avvicina a un accordo.
Quindi che iniziativa ci vuole per sbloccare la situazione?
Le potenze occidentali dovrebbero convincere arabi e Iran a finirla qui, togliendo i rifornimenti di munizioni a Israele. Tel Aviv ogni anno riceve miliardi di dollari di aiuti militari dagli USA, ma sta consumando più munizioni del previsto. La campagna di Gaza doveva durare tre mesi e se aprono il fronte libanese sarà ancora peggio. Un’iniziativa diplomatica su vasta scala sarebbe nell’interesse di tutti, ma l’inettitudine della Commissione europea e l’incapacità dell’amministrazione americana non la permettono. Gli unici che possono avviarla sono russi e cinesi.
Cosa possono fare?
I primi sono presi dalla guerra in Ucraina, i cinesi invece stanno lavorando in maniera seria: hanno riunito a Pechino 14 fazioni palestinesi facendo uscire un documento congiunto che rappresenta la base su cui poter domani far riconoscere uno Stato palestinese. Non è un caso che dopo questa iniziativa sia stato ucciso Haniyeh. L’intesa di Pechino ha indotto Israele a farlo fuori per scompigliare di nuovo le carte.
Quindi cosa succederà, come attaccherà l’Iran?
Difficile fare previsioni. Potrebbero anche far “saltare” qualche ministro israeliano. Al di là di tutto, tuttavia, resta il fatto che da tempo ci sono due nazioni che se ne fregano del diritto internazionale e vanno in giro ad uccidere chi pare a loro. USA e Israele si arrogano il diritto di ammazzare chi vogliono. È una cosa che va avanti da decenni, per questo c’è una crescente ostilità verso la politica israeliana e statunitense.
(Paolo Rossetti)
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