Alle 21:49 di ieri l’Iran ha lanciato l’atteso attacco contro Israele. È la risposta di Teheran al bombardamento israeliano dell’ambasciata iraniana di Damasco il 1° aprile scorso, nel quale sette diplomatici erano rimasti uccisi. Si è trattato di un imponente attacco di droni, 400-500, secondo fonti americane, e anche di missili. Israele ha dichiarato che gli obiettivi erano le alture del Golan nel nord di Israele, e le basi militari nel deserto del Negev, a sud. Non sono noti al momento i danni causati dai missili e dai droni iraniani, alcuni dei quali intercettati dalle forze israeliane e da caccia americani, francesi e britannici. Alle 0:50 di oggi l’ambasciata iraniana all’ONU ha comunicato su X che l’azione poteva dirsi conclusa. Ma Israele ha promesso a sua volta una rappresaglia.



“Quello che era ritenuto possibile è divenuto realtà” spiega al Sussidiario Filippo Landi, già corrispondente Rai da Gerusalemme e inviato del Tg1 Esteri. “La distruzione del consolato iraniano a Damasco e l’uccisione di  due generali delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane ha innescato la rappresaglia dei governanti iraniani. La dimensione della rappresaglia appare vasta, ma la domanda immediatamente successiva è quale sarà l’ulteriore risposta israeliana”.



Pare, da fonti militari, che molti droni siano stati intercettati.

Sì, la maggior parte dei missili e droni iraniani è stata intercettata sui cieli degli Stati arabi confinanti. Altri sui cieli di Tel Aviv e Gerusalemme. Un fatto ampiamente previsto dai militari. Questo fatto dovrebbe indurre a contenere i successivi passi militari.

Ssarà così?

Non è detto. Le scelte politiche potrebbero andare in senso contrario. È evidente che l’attacco al consolato iraniano puntava a spostare l’attenzione da Gaza verso uno scenario diverso, spingendo l’Iran a scendere direttamente in campo, e compattando i Paesi occidentali intorno ad Israele.



Una operazione attentamente costruita…

Certo. Come hanno detto alcuni commentatori israeliani in queste ore, ora è evidente che Netanyahu persegue un conflitto che va oltre Gaza, per rafforzare se stesso e il suo governo, entrato nelle ultime settimane in rotta di collisione con gli Stati Uniti.

Come si spiega il rincorrersi di alert, da venerdì in poi, sull’attacco dell’Iran?

Da giorni i media americani ed europei erano sommersi di annunci provenienti da agenzie di intelligence USA e da fonti ufficiose israeliane su possibili attacchi contro Israele. Con informazioni contraddittorie. Una cosa è certa: quanto accaduto dall’episodio di Damasco in poi, dimostra l’interesse politico americano e israeliano di attirare l’attenzione su un versante diverso da quello di Gaza, dove la situazione è in stallo.

Anche su quel versante Netanyahu intende agire?

Quello che appare possibile è che si stia preparando un attacco terrestre nelle prossime settimane a Rafah.

Che senso ha avuto, in questo contesto, il sequestro da parte di Teheran di una nave israeliana?

Con il sequestro della nave del gruppo italo-svizzero MSC, legato al miliardario israeliano Ofer, l’Iran ha mandato un messaggio evidente: è capace di colpire gli interessi israeliani nonostante le forze internazionali dispiegate nell’area del Mar Rosso da USA, inglesi e anche dall’Unione Europea. La nave è stata sequestrata senza problemi mentre viaggiava in direzione dell’India, partendo da un porto degli Emirati Arabi.

Il sequestro, però, è avvenuto nello stretto di Hormuz.

È stata sequestrata lì dove sono presenti forze USA: il Bahrein ospita navi americane e in Qatar c’è la più grande base statunitense in Medio Oriente. Siamo in prossimità  dello stretto di Hormuz. Il messaggio è chiaro: gli interessi israeliani possono essere colpiti al di là degli allarmi che si stanno susseguendo da giorni.

Se il rischio escalation è sempre stato concreto, perché Israele ha attaccato l’Iran a Damasco?

L’attacco al consolato di Damasco e alle persone che vi si trovavano è avvenuto nella piena consapevolezza che si poteva innescare una reazione iraniana. Come puntualmente si è verificato. Ed è stato compiuto con l’idea di spingere gli USA a riaffermare la difesa di Israele nella regione, superando i contrasti che nelle ultime settimane si erano evidenziati tra l’amministrazione Biden e il governo Netanyahu sulla gestione della guerra a Gaza.

In passato, quando è capitato di dover rispondere ad azioni di Israele nei loro confronti, che tipo di risposta hanno adottato gli iraniani?

Hanno attaccato le sedi diplomatiche israeliane in Asia, ambasciate o consolati. Hanno colpito lì dove ritengono sia più fragile lo sbarramento nei confronti di eventuali attacchi terroristici.

Adesso che cosa dobbiamo aspettarci?

Non lo sappiamo, ma una cosa è certa: il buon senso potrebbe essere ricacciato ancora una volta in un angolo.

(Paolo Rossetti)

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