L’Iran risponderà all’ultimo blitz di Israele prima del 5 novembre. Anzi, no, lo farà dopo, ma è deciso a procedere. Le voci su un’imminente operazione militare da parte di Teheran, la terza contro Israele dallo scoppio della guerra in Medio Oriente, si susseguono. Ma per il momento sembrano relegate a schermaglie verbali. All’Iran, osserva Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’Ispi, un attacco del genere non converrebbe, anzi, darebbe a Netanyahu il pretesto per colpire quelle piattaforme petrolifere e quei siti nucleari iraniani che finora sono stati esclusi da bombardamenti. La realtà è che così come questa crisi dà al premier del governo israeliano l’opportunità di prolungare la sua carriera politica, serve anche agli ayatollah per legittimare il loro potere interno, tenendo a bada le spinte moderate che hanno portato all’elezione come presidente di Pezeshkian. Khamenei, la guida suprema dell’Iran, intanto, ha annunciato una risposta devastante contro i nemici, ma senza precisare quando.
È tornato alto l’allarme per un eventuale attacco dell’Iran a Israele come ritorsione nei confronti dell’ultima operazione militare contro siti militari e basi radar di Teheran. Alcuni dicono che succederà prima delle elezioni americane. C’è davvero questo pericolo?
Prima o dopo il 5 novembre, non ci credo. Non ha senso, anche per come è andato l’ultimo attacco israeliano, criticato dagli alleati di estrema destra di Netanyahu perché avrebbe dovuto colpire le piattaforme petrolifere e i siti nucleari. Se l’Iran si muovesse, questa volta sì Tel Aviv bombarderebbe proprio quegli obiettivi. L’attacco israeliano era stato molto telefonato, una risposta sarebbe un suicidio per gli iraniani. Queste voci stanno a dimostrare che è in atto un confronto molto duro all’interno dell’Iran: c’è un governo moderato, ma che deve fare i conti con i pasdaran e gli ayatollah. Sarebbe un attacco totalmente senza senso, chi lo organizza si assumerebbe la responsabilità di veder distruggere il suo Paese.
Come vanno inquadrati, allora, questi rumors sull’imminente attacco iraniano?
Fa tutto parte della retorica di questa guerra, dove le parole sono sempre più dure del conflitto vero e proprio. Penso che si resterà all’interno di questo quadro comportamentale. In tutti i conflitti che stanno attorno alle elezioni americane aumenta la tensione in attesa di un voto che è totalmente incerto. Prima di crederci devo vederli gli iraniani che procedono a un vero e proprio bombardamento, cosa che probabilmente gli israeliani non permetterebbero loro di fare anticipandoli con un attacco preventivo. Certo, in Medio Oriente la follia predomina, e quindi c’è da aspettarsi di tutto, ma finora è stata una follia controllata.
Qualcuno sostiene che gli iraniani vogliono rispondere perché in realtà i danni provocati da Israele nel recente blitz sono stati consistenti. Neanche gli israeliani, però, si sono vantati troppo di quello che hanno fatto. Qual è la verità?
Rispetto al primo botta e risposta, quello di aprile, l’ultimo, sia da parte iraniana che israeliana, è stato di intensità superiore al primo scambio. Niente, tuttavia, che giustifichi una recrudescenza del conflitto che sarebbe la formalizzazione dell’avanzamento della guerra. Sia in Iran che in Israele c’è il partito della guerra, finora comunque è prevalso il militarismo più politico.
Il New York Times è uno dei giornali che ha lanciato l’allarme sulle intenzioni dell’Iran, dicendo che Khamenei vorrebbe lanciare un attacco, in realtà l’ordine riguarderebbe la stesura di possibili piani di guerra. Ma questo, in una situazione del genere, non è ordinaria amministrazione? Ci si prepara immaginando ogni eventualità?
Anche lo stato maggiore della Difesa italiana ha preparato attacchi in previsione di un eventuale attacco russo. Si fa così. Preparare dei piani fa parte del lavoro dei militari, poi non è detto che vengano usati. Ovvio che Khamenei dia queste disposizioni, gli israeliani avranno chissà quanti piani di attacco all’Iran, gli USA li hanno per tutti i loro nemici, dalla Cina alla Russia, a Cuba. La leadership dell’Iran, poi, sa benissimo che il consenso verso il regime è inesistente: appena gli iraniani hanno potuto votare un candidato decente lo hanno fatto, ed è un moderato.
Sulla stampa israeliana si rilancia la possibilità di un attacco di Teheran attraverso le milizie irachene: per rispondere all’IDF tornano buoni i proxy?
Sì, ma le milizie irachene colpiscono le basi Usa in Iraq, non colpiscono Israele. Se lanciassero missili di una certa potenza, Netanyahu saprebbe che glieli hanno dati gli iraniani e quindi attaccherebbe l’Iran. Anche questo scenario non avrebbe senso.
Alla fine, insomma, un attacco iraniano non è così probabile?
Secondo me no, non lo faranno, ma non ci scommetterei. In una situazione così tesa se c’è qualcuno che vuole provocare si rischiano conseguenze difficili poi da controllare.
Netanyahu intanto ha detto che Israele non rinuncerà a colpire i siti nucleari iraniani per impedire a Teheran di avere armi atomiche. Siamo sempre allo scontro verbale o sono intenzioni serie?
Sono anni che lo dice, anche prima dell’accordo sul nucleare iraniano. E poi a cosa servirebbe? Se vince la Harris, una delle prime iniziative sarebbe proprio di far ripartire la trattativa sul nucleare dell’Iran; se vince Trump non si parlerà più di negoziare. Gli iraniani intanto devono arrivare al 90% di arricchimento dell’uranio, ma poi devono preparare i missili con testate nucleari: non sono così vicini alla bomba atomica. Certo, gli israeliani hanno sempre sognato di bombardare gli iraniani, perché per loro non può esistere un Iran moderato: hanno bisogno del cattivo, di un mostro per giustificare i loro comportamenti militari.
Nel regime iraniano sta cambiando qualcosa? L’onda moderata che ha portato a eleggere Pezeshkian avrà come conseguenza un atteggiamento meno bellicoso?
Questa crisi militare rischia di essere una volta di più la causa del fallimento degli esperimenti moderati dell’Iran. Quando era al potere Khatami, più moderato e più potente dell’attuale presidente, ci fu l’11 settembre e George Bush mise l’Iran nel gruppo degli Stati canaglia. I moderati in Iran vincono se non c’è conflitto, forse anche per questo il regime alza il tono del confronto: così come questa guerra serve a Netanyahu per restare al potere, serve al regime degli ayatollah per avere una legittimità. I conflitti non aiutano mai i moderati.
(Paolo Rossetti)
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