Attacco terroristico in Turchia. Ci sono gli aspetti visibili, con i morti e i feriti, e sono terribili. Ci sono quelli invisibili, che proveremo a decifrare, e in ipotesi sono altrettanto terribili. Mi esprimerò con prudenza, ma l’articolazione dei fatti più recenti induce a proporre uno scenario pauroso.

Cominciamo dai quel che si vede a occhio nudo, meri dati di cronaca. Le riprese televisive mostrano alte fiamme, un fumo bianco che si alza. Ci sono le immagini delle videocamere di sorveglianza, una donna armata ai tornelli d’ingresso di quella che appare una fabbrica modernissima, si vede un suo complice scendere da un taxi e appiattirsi a terra, non si sa quanti altri si stiano muovendo armati. Si percepiscono degli spari. Il canale televisivo privato NTV ha presto parlato di un attacco suicida, affermando che “un gruppo di terroristi” aveva fatto irruzione all’ingresso del sito Tusas e che “uno di loro si è fatto esplodere”. Il quotidiano Sabah ha pubblicato sul suo account X una foto che mostra un giovane vestito completamente di nero, con uno zaino e apparentemente con un fucile d’assalto, affermando: “Questo è uno dei terroristi che hanno attaccato #TUSAS”. Tusas? Che cos’è? Un attimo, e capiamo.



Strutture e martiri

Il ministro dei Trasporti Abdulkadir Uraloglu è stato il più esplicito nel disvelare l’“attacco alle strutture della Turkish Aerospace Industries Inc. (Tusas) ad Ankara”. “Che Dio abbia pietà dei nostri martiri e che i nostri feriti si riprendano rapidamente”, ha aggiunto su X. Contano le parole. Strutture! Vuol dire il ganglio vitale di un Paese, l’ossatura senza cui si sfalda una Nazione. Martiri! Nel linguaggio consolidato della Repubblica turca vuol dire soldati. È stato un atto di guerra. Cinque morti, ventidue feriti, di cui almeno cinque gravi, tra gli aggrediti. Due i terroristi uccisi.



Insomma. Erano le 16 di ieri pomeriggio quando, a una quarantina di chilometri da Ankara, un attentato terroristico ha colpito la Turchia: nel cuore economico, militare e simbolico di un impero rinascente. Questo era un santuario iper-protetto. Altri ministri hanno presto accusato il Partito dei lavoratori curdi, il famigerato Pkk di Ocalan. Possibile che gli autori materiali siano presto identificati come terroristi militanti curdi. C’è un precedente, estate del 2023, attacco a una caserma di Istanbul rivendicato dal Pkk, due morti (gli aggressori).

Il salto è esagerato. Qui si è colpito, andando dritto oltre lo sterno, l’esatto punto geopolitico su cui si regge il disegno egemonico di Recep Tayyip Erdogan. È come passare da una rapina a una tabaccheria (fallita!) all’assalto alla Federal Reserve di Fort Knox riuscendo a penetrarvi.



Possibile che i curdi, e in particolare l’organizzazione terroristica che ha subìto colpi devastanti dall’esercito turco, sia stata in grado di addentrarsi a quel livello? Mai dire mai, possibile ma assai improbabile che un regime che è stato in grado di reagire con assoluta determinazione e prontezza a un tentato golpe che ha coinvolto un quarto dell’esercito (luglio 2016) adesso si sia trovato – con un clima di attenzione massima per le guerre in corso ai confini – in pantofole e la pipa in bocca nella sua zona dove la massima allerta è nelle cose?

Che cosa c’entra Hamas

Ipotesi? Alt. Prima alcune notizie dell’ultima settimana. Il fatto noto è l’uccisione di Yahya Sinwar giovedì scorso da parte dell’esercito di Israele a Rafah, Striscia di Gaza. Hamas, lungi dall’arrendersi, ha deciso di mantenere la linea dura, durissima del capo militare e politico: il popolo palestinese versi pure tutto il suo sangue, ciò che conta è annientare gli ebrei fino a sospingerli a una guerra universale. Nessuna restituzione di ostaggi, ma incrementare l’orrore, facendo leva sull’alleanza sciita che lega Hamas a Hezbollah, Houti, jihad irachena, ai guerriglieri uzbeki dell’Afghanistan, agli Shabaab somali, su fino all’Iran, a sua volta in partenariato strategico con Russia e Cina.

Hezbollah ha vissuto l’eliminazione di poco precedente dei suoi leader, in particolare Nasrallah, poi via via i candidati a succedergli, in una sequenza di colpi diretti alle case dei capi. A questo punto, la reazione al medesimo livello: parte il drone di alta precisione diretto alla dimora privata di Bibi Netanyahu. Finora invano, Nasrallah recandosi da Khamenei aveva chiesto i codici per utilizzare missili e droni che hanno stoccati nelle loro basi sotterranee. Adesso il permesso è stato dato.

Impressionante è che la notizia precisa di cosa avrebbe fatto Hezbollah era contenuta in una intervista realizzata da Il Tempo a cura di Aldo Torchiaro, prima pagina del 3 ottobre scorso. A rivelare questo progetto l’ex capo del nostro controspionaggio Marco Mancini, che conserva evidentemente fonti primarie in Libano e a Gaza: non è infatti la prima volta che dopo il 7 ottobre 2023 anticipa gli eventi, a partire dalla disposizione dei tunnel e di vere città sotterranee sia a Gaza sia a Beirut Sud. Ha svelato per primo su L’Unità di Piero Sansonetti che il capo politico di Hamas, Haniyeh, eliminato il 31 luglio a Teheran, era stato colpito grazie alla penetrazione dei servizi segreti israeliani (Mossad e non solo) sino ai piani più alti del regime degli ayatollah, inducendo Hamas e Hezbollah a evitare di mettersi nelle mani di Khamenei, la guida suprema, a sua volta nascosto in un bunker a prova di bombe perforanti israeliane, grazie al sottosuolo in granito.

Hezbollah nel frattempo attraverso la Siria, e la complicità di Turchia e Russia, ha visto confluire pasdaran orientali e armi in dosi massicce. Nessuna intenzione di cedere terreno a Israele, che a sua volta non ascolta nessun appello o proposta di tregua.

Partono segnali di Netanyahu dopo il segnale ricevuto sulla sua testa. Nessuno l’ha scritto e detto, ma nei giorni scorsi Israele ha colpito la base aerea russa di Hmeimim, situata a sud-est di Laodicea, il cui status legale è regolato da un trattato siglato nell’agosto 2015.

Nel frattempo Hamas deve scegliere il suo capo. Non essendo, viste le recenti esperienze funeste, praticabili né Gaza né il Libano né l’Iran, considerati ad alta vulnerabilità da parte dell’intelligence ebraica, che fare? Nei giorni scorsi una fonte di verificata attendibilità ha sostenuto che si sarebbero fatti avanti i servizi segreti turchi offrendo una “casa sicura” per la riunione, con la presenza di due capi pasdaran iraniani, oltre a rappresentanti di Hezbollah e ovviamente di Hamas.

Ed ecco, in questo contesto bellico di colpi sotto la cintura, di guerra senza limiti, questo attacco a prima vista curdo, ma con fili tirati da dita raffinatissime. Ovvio che Israele non c’entra, ci mancherebbe. Come non c’entra con l’eliminazione di Haniyeh, e come l’Iran nulla ha che fare con il missile sulla villa di Netanyahu.

Ipotesi, mere ipotesi

Ipotesi, mere ipotesi. È un fatto che proprio ieri, mentre veniva colpita la pupilla dei suoi occhi, Erdogan se ne stava sul Volga, con Putin e con altri capi del gruppo dei Bric + T (Brasile, Russia, India, Cina, Turchia). Tutti hanno manifestato massima solidarietà a Erdogan: il terrorismo non ha mai fatto andare avanti la pace, e da Putin a Scholz, da Biden al capo della Nato, a Meloni, hanno espresso condanne ferme e condoglianze vive, ed è una buona cosa.

Noi qui vorremmo estrarre dal dimenticatoio uno scambio di battute terrificanti.

Rainews, 28 luglio. “Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha lasciato intendere, in occasione di una convention del suo partito islamista AKP, che sarebbe determinato a invadere Israele per porre fine al conflitto palestinese se il suo Paese avesse una forza di armi sufficiente. ‘Abbiamo fatto molta strada con la nostra industria della difesa, con le importazioni e le esportazioni. Fratelli, nessuno può ingannarci: dobbiamo essere molto forti, perché così Israele non sarebbe in grado di fare il casino che fa in Palestina’, ha detto Erdogan. ‘Come siamo entrati in Nagorno Karabakh (enclave di armeni conquistata nel settembre 2023 dall’Azerbaijan, ufficialmente i turchi non c’erano, ndr), come siamo entrati in Libia, faremo lo stesso con loro. Non c’è nulla che possa impedirlo. Dobbiamo solo essere forti e poi possiamo fare questi passi? Li faremo’, ha dichiarato. Il presidente ha rilasciato queste dichiarazioni, diffuse in un video dall’agenzia pubblica turca Anadolu”.

Allora il ministro degli Esteri di Gerusalemme, Israel Katz, rispose su X, subito ripreso dal Times of Israel: “Erdogan sta seguendo la strada di Saddam Hussein e minaccia di attaccare Israele. Dovrebbe solo ricordare cosa è successo lì e come è finita”.

Il dito di Dio

Non si era ancora arrivati, in quel 28 luglio, ai colpi diretti. Ma le parole sono prima sassi, poi piombo. Si noti. Erdogan cita “la nostra industria della difesa, con le importazioni e le esportazioni”. E ieri il colpo è stato inferto proprio lì. “Il settore della difesa turco, compresi i suoi famosi droni Bayraktar, ha rappresentato quasi l’80% dei ricavi delle esportazioni del Paese e 10,2 miliardi di dollari nel 2023. Nei primi otto mesi del 2024, i ricavi delle esportazioni delle industrie della difesa hanno raggiunto i 3,7 miliardi di dollari, con un aumento del 9,8% rispetto allo stesso periodo del 2023, secondo il presidente delle industrie della difesa turche, Haluk Gorgun” (Le Figaro di ieri).

Qualcuno fermi la valanga, ci vorrebbe la ragione, ma dov’è finita? Che Dio, invocato dai poveri di questo mondo, fermi la follia e apra il cuore dei potenti. Il dito di Dio.

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