“E’ una vendetta per gli attacchi alle moschee in Nuova Zelanda” si legge nelle ultime notizie a proposito della strage della domenica di Pasqua nello Sri Lanka. In realtà ci sono parecchie cose che non tornano ancora su chi ci sia dietro a questi attentati. La pista seguita sin da subito è quella del terrorismo islamista, ma manca ancora qualunque rivendicazione ufficiale da parte dell’Isis, che in queste occasioni non perde un secondo, attribuendosi a volte anche incidenti (ad esempio l’incendio di Notre-Dame) dove lo stato islamico non c’entra niente. Non si tiene poi conto a sufficienza della particolarissima realtà del piccolo paese. Qui gli estremisti buddisti da tempo perseguitano e attaccano chiese cattoliche e pastori protestanti, con lo scopo ben pubblicizzato di espellere del tutto il cristianesimo dall’isola. Per quasi dieci anni poi lo Sri Lanka, come spiega Massimo Introvigne oggi sul Sussidiario, è stato insanguinato da una guerra civile. Si tratta della minoranza induista, in lotta contro la maggioranza buddista che ha discriminato la prima e ancora lo fa. Ma allora perché non colpire templi buddisti invece delle chiese cristiane? E poi, perché attaccare contemporaneamente chiese e alberghi? C’è un retroterra religioso o si è voluto colpire lo Sri Lanka in quanto tale, dove il turismo negli ultimi anni è aumentato vistosamente e porta molti soldi alle casse dello stato? Ne abbiamo parlato con Stefano Piazza, esperto di terrorismo internazionale.
Ancora non c’è una rivendicazione ufficiale, tra le tante possibili quale pista secondo lei andrebbe seguita con più attenzione?
Personalmente penso ci siano pochi dubbi sulla matrice islamista. Vuoi per la metodologia usata cioè esplosioni in simultanea, vuoi per il giorno simbolico, la Pasqua cristiana. Senza dimenticare che lo Sri Lanka era stato allertato da un servizio segreto straniero, quello indiano per la precisione, e dal Dipartimento di Stato americano che un gruppo jihadista autoctono, il National Thowheed Jamath, era intenzionato a fare qualcosa di grosso. Obiettivo sia le chiese che gli alberghi e anche la rappresentanza diplomatica indiana, cosa che poi non hanno fatto. Per quanto riguarda la mancata rivendicazione occorre essere prudenti.
Perché? Il gruppo islamista che lei cita era noto fino ad oggi per avere al massimo distrutto qualche statua buddista.
Nel subcontinente indiano lo stato islamico è nettamente minoritario rispetto ad al Qaeda che ha una presenza molto radicata da diversi anni e che sta aumentando la sua presenza in modo esponenziale. Lo Sri Lanka, benché sia un paese piccolo e non molto toccato dal fenomeno islamista, recentemente vede un notevole aumento dei predicatori d’odio salafiti. Stanno ottenendo un certo successo nella minoranza musulmana.
Questo perché i musulmani, come in India dagli induisti, sono fortemente discriminati dalla maggioranza buddista? Fanno leva su questo sentimento?
Sì, coloro che predicano vengono essenzialmente formati in Arabia Saudita. In Sri Lanka fanno leva sulla forte discriminazione e i maltrattamenti che subiscono gli islamici, e trovano terreno fertile. Hanno cercato di costruire alcune realtà islamiche, dei villaggi dove si praticava la sharia e di aprire anche scuole coraniche, come è successo in Malesia e Filippine senza però riuscirci. Senza dimenticare che proprio i salafiti della Malesia vedono lo Sri Lanka come luogo dove impiantare comunità autoreferenti islamiche.
Il governo dello Sri Lanka ha condotto vittoriosamente una lunga guerra contro i ribelli induisti Tamil, sarà in grado di far fronte anche a questa nuova sfida?
Credo di no, senza l’aiuto della comunità internazionale e dei paesi vicini farà molta fatica. La cosa che più inquieta è che l’11 aprile il governo era stato avvisato del possibile verificarsi di un attentato e non è riuscito a fare niente. Questo desta molta preoccupazione.
Come mai secondo lei?
Bisogna tener conto che una serie di attentati di questo tipo sono una vera operazione militare, quindi nell’organizzarla lasci tracce, incontri persone. E’ preoccupante quello che è successo, un vero corto circuito delle forze dell’ordine. E’ anche vero che come avvenuto in altri paesi del subcontinente indiano può essere che qualche manina di infiltrati non abbia fatto arrivare l’avvertimento dove doveva arrivare. Non dimentichiamoci che in questi paesi le strutture governative sono sempre molto deficitarie.