Ieri a Istanbul, ore 16.20, in Istiklal Caddesi, strada pedonale tra le più affollate del mondo, è tornato il terrorismo. Sei morti e 81 feriti a causa di una bomba fatta esplodere da una donna che se la portava addosso. Un’immagine circolante su Twitter mostra la presunta colpevole, con il velo nero, tuta mimetica, il volto corrucciato, sguardo scuro e determinato. Accanto a lei, nello stesso fotogramma, si vede una ragazza che cammina serena, con una giacca color caramella, occhi dolci. Non sappiamo se quest’ultima sia tra le vittime. Di sicuro la falce ha colpito persone innocenti come lei.
“Gli autori di questo vile attacco saranno smascherati. Che il nostro popolo sia sicuro che i responsabili saranno puniti”, ha avvertito Recep Tayyip Erdogan all’aeroporto prima di partire per il G20 di Bali. La condanna di questo atroce attentato e la solidarietà “al governo e al popolo turco” sono stati espressi anche da Giorgia Meloni.
Com’è potuto accadere un fatto simile, in una città che, oltre a essere capitale culturale ed economica del Paese, è in questo momento la capitale anche dello spionaggio del pianeta? La metropoli più controllata del mondo, con una capacità di penetrazione da parte dei servizi di sicurezza del dittatore neo-ottomano che pareva essere totalitaria. Non c’è conversazione che non sia ascoltata, nessuno sfugge al riconoscimento facciale. Oltretutto nel cuore di Istanbul: la via Istiklal è il sito più sensibile, non solo perché centro nevralgico del commercio – con mille negozi, i caffè, i musicisti di strada e i venditori ambulanti –, ma anche dal punto di vista diplomatico, dato che si affacciano qui i consolati francese, russo, svedese e olandese. Conta di più il consolato sul Bosforo che l’ambasciata ad Ankara, e questo vale anche per l’Italia, che ha una folta rappresentanza a mezzo chilometro da Istiklal Caddesi.
Ci sono precedenti di terrorismo, proprio su questa strada, ma si collocano tutti nell’annus horribilis 2016.
Parliamo dell’attacco suicida del 19 marzo 2016, che uccise quattro persone e ne ferì decine, che spinse le cancellerie a rafforzare fortemente le misure di sicurezza. Fu uno degli attentati che colpirono Istanbul appunto nel 2016, ad opera dello Stato islamico, che voleva far pagare alla Turchia la sua partecipazione alla coalizione internazionale contro Daesh in Siria. Un elenco devastante. All’inizio di gennaio, 12 turisti tedeschi furono sterminati in un attentato nel quartiere storico di Sultanahmet. A giugno, un triplo attacco suicida fece strage di 47 persone all’aeroporto internazionale Atatürk. La notte di Capodanno fu colpito anche un nightclub sulle rive del Bosforo. Fin qui si parla di Isis. Il 2016 fu segnato anche da altri attentati, questa volta attribuiti al gruppo guerrigliero curdo Pkk, classificato come terrorista da Ankara. I Falchi della Libertà del Kurdistan (Tak), un gruppo radicale vicino al Pkk, hanno rivendicato la responsabilità di un doppio attentato vicino allo stadio di calcio di Besiktas, che causò 44 vittime nel dicembre 2016.
Da allora Erdogan ha regolato la pratica con i jihadisti: aprendo e chiudendo loro le porte a seconda delle opportunità, alla fine arricchito dai 7 miliardi di euro dell’Unione Europea, spesi per comprarsi quella parte di Libia in mano alle bande jihadiste e ai Fratelli musulmani, cacciando l’Italia dalla Tripolitania e bloccando i pozzi Eni, oltre che gestendo come una mazza sull’Italia i flussi migratori. Nel 2020 migliaia di tagliagole siriani furono spediti come forza di sostegno all’invasione del Nagorno Karabakh (armeni) da parte dell’Azerbaijan, un regalo di Erdogan al compare dittatore Aliyev. La pace di convenienza con i terroristi islamici porta a ritenere poco probabile il mandante Isis o affini. E sposta l’attenzione sui falchi del Kurdistan. C’è un perché. Sarebbe in questo caso una risposta terroristica, e perciò sempre ingiustificata e ingiustificabile, al terrorismo di Stato turco.
Da anni e in particolare dall’aggressione russa dell’Ucraina Erdogan ha deciso una sorta di soluzione finale, come già quella che nel 1915 prese forma di genocidio degli armeni, stavolta nei confronti dei curdi, islamici o cristiani che siano, all’interno dei confini ma – nell’indifferenza dei Paesi Nato – anche nei territori curdi di Iraq e Siria. Bombardamenti indiscriminati. Tipo quelli russi in Ucraina. In corso anche quando Draghi con mezzo governo correva ad Ankara a baciare le mani al “dittatore necessario” (SuperMario dixit).
Esiste un’altra ipotesi. Tra qualche mese si terranno in Turchia le elezioni legislative e presidenziali. Gli attentati rafforzano sempre chi ha in mano le redini della repressione. Spaventa il fatto che da tempo siano in corso esercitazioni comuni di reparti speciali turchi e iraniani. Con la Cina che osserva con benevolenza questo strano abbraccio. Si chiama Terza guerra mondiale.
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